La storia – bella, esemplare, silenziosamente commovente – ce la racconta la professoressa Francesca Pice, colta e sensibile come sempre. E sentiamo il dovere di consegnarla a tutti voi lettori come augurio per un nuovo anno, che veda dileguare odi e invidie, malignità e infifferenza, tutti quei morbi – spesso invisibili, ma tanto dolorosi – che affliggono davvero la nostra esistenza.
Qui di parla di dolcezza, dono, meraviglia, in ricordo di un’anima stupenda. Proviamo a purificarci il cuore almeno per un breve torno di poche, significative parole. Non sarà stata operazione vana.
“Raffaella era fermamente convinta che donare un sorriso fosse elemento capitale della qualità della vita, che fosse poetizzante, e che permettesse di rispondere nel quotidiano al bisogno di conforto che tutti abbiamo.
Il segreto della sua energia trascinante? Vivere la ‘festosità’ della vita! Festosità non come spensieratezza o come evasione dai problemi di tutti i giorni. Festosità come inno all’esistenza, perché sentiva il lavoro come una profonda vocazione e un gioioso servizio da rendere all’altro, perché trovava sempre il modo di alleviare il peso di ogni fatica, trovare la forza di consolare ogni lacrima, riconciliare ogni divisione, sentire l’inatteso come occasione di rinascita.
Oggi (il 5 gennaio scorso, per chi legge) abbiamo ritrovato il sorriso di Raffaella nei piccoli degenti dell’Ospedale pediatrico Giovanni XXIII di Bari a cui, insieme a straordinari amici, abbiamo donato le calze amorevolmente realizzate dalla sua mamma Rosa“.