Ricorrerà in appello, per cercare di ridurre la sua pena, il 21enne Fabio Giampalmo, giudicato responsabile della morte del 40enne Paolo Caprio, l’imbianchino ucciso a pugni nella notte tra il 4 e 5 settembre 2021 nell’area di servizio in via Modugno a Bitonto.
Il giovane, ex pugile, è stato condannato in primo grado a 21 anni di reclusione con l’accusa di omicidio volontario pluriaggravato dalla minorata difesa, dall’avere usato tecniche di combattimento e dai futili motivi.
Sentenza ora impugnata dalla difesa, che dall’11 giugno, data in cui avrà inizio il processo di secondo grado, cercherà di dimostrare come l’omicidio non fosse volontario, ma pretintenzionale, chiedendo una riduzione di pena.
Secondo i legali, la Corte d’Assise avrebbe erroneamente giudicato che “l’imputato avesse praticato nei confronti di Caprio arti marziali e non, invece, quattro pugni da boxe in zone del corpo non vietate poiché non letali (come la “fascia del moicano”)”. Questo evidenzierebbe che Giampalmo non avrebbe avuto “volontà omicidiaria”.
Ancora, “seppure a conoscenza dei rudimentali della boxe”, il 21enne secondo la difesa non sferrò colpi “tipici delle arti marziali, ma una sola sequenza di 4 pugni da boxe, di cui solo l’ultimo capace di produrre lo stordimento”.
I legali evidenziano poi che “l’intensità dell’aggressione si è protratta in un tempo ridottissimo di appena quattro secondi”, durante i quali l’imputato “non si accanì, non infierì sul corpo della vittima oramai indifesa e a terra, ma se ne allontanava immediatamente dopo averla resa inoffensiva, unica finalità che aveva perseguito, affinché non reagisse”.
Secondo la difesa, quindi, “a fronte di un numero talmente esiguo di pugni al volto, non è possibile ipotizzare che un atleta dilettante (come era l’imputato) possa prefigurarsi (accettandone il rischio), l’evenienza di un decesso come conseguenza dei suoi colpi”.