E’ di giugno
la notizia dell’adesione del Comune di Bitonto, insieme ad altri comuni del Sud
Italia, ad una petizione, avviata dal Comitato tecnico-scientifico “No
Lombroso”, per chiedere la restituzione, ai comuni di appartenenza, di alcuni
dei crani esposti nelle teche del Museo di Antropologia Criminale “Cesare
Lombroso” (http://www.dabitonto.com/cronaca/r/anche-palazzo-gentile-dice-no-alle-teorie-razziste-di-cesare-lombroso/3552.htm).
In
particolare, si chiede di riportare nel Comune di Motta Santa Lucia, in
Provincia di Cosenza, il teschio del brigante Giuseppe Villella, studiato dallo
scienziato veronese fondatore del museo, per avvalorare la tesi dell’atavismo
criminale, che individuava nella presenza di alcune caratteristiche del cranio,
in particolare della fossetta occipitale medianica la prova di una tendenza
innata a delinquere, frutto di persistenti aspetti dell’uomo primitivo. Oltre
al brigante calabrese, i movimento meridionalisti vorrebbero riportare indietro
i teschi di altri briganti finiti sotto gli strumenti di Lombroso, per dar loro
degna sepoltura.
Tra la galassia dei movimenti meridionalisti c’è chi chiede addirittura la
chiusura del “museo degli orrori
intitolato ad un medico razzista”, riaperto nel 2009, dopo lo spostamento
dei reperti nell’attuale sede, il Palazzo degli Studi Anatomici, al civico 15
di via Pietro Giuria a Torino. Il museo ospita quella che fu la collezione
privata di Lombroso, composta da crani, maschere mortuarie, fotografie,
strumenti di lavoro e arricchita da donazioni, da parte di ammiratori e
allievi, provenienti da ogni parte del mondo.
Prima del museo in sé, sotto accusa è la figura del medico settentrionale, reo,
secondo i meridionalisti, di aver contribuito a quell’operazione ideologica,
avviata dai Savoia, che classificò il brigantaggio nelle regioni del Sud come
normale criminalità, ignorando volutamente la differenza tra criminale comune e
combattente per una causa. Ignorando che quella in atto fosse una guerra civile
contro chi combatteva per una causa. Contribuì, dunque, grazie alle sue
ricerche scientifiche deviate da pregiudizi ideologici, a giustificare
l’invasione militare da parte dei piemontesi.
La querelle tra il comitato e l’Università di Torino, a cui appartiene il
museo, dura da anni. Da una parte si invoca il diritto ad avere degna sepoltura
da parte dei suddetti briganti, sostituendo i crani con un calco in gesso come
quello del cranio di Villella esposto al Museo Criminologico di Roma. Dall’altra
si sottolinea il valore culturale dell’esposizione, testimonianza storica del
nostro passato e di teorie scientifiche una volta credute vere. Non è, infatti,
intenzione del museo far passare per vere le teorie lombrosiane.
Le
registrazioni trasmesse costantemente durante la visita, ribadiscono che esse
sono state superate dalla scienza. Del resto, come è sottolineato dalle stesse
registrazioni vocali, “la scienza si sviluppa
anche attraverso gli errori”.
Ma, per avere un’idea più precisa sulla questione, una visita al museo piemontese
è senz’altro di aiuto. Appena entrati nell’ala del palazzo che ospita
l’esposizione, a dare il benvenuto al visitatore c’è Cesare Lombroso in persona
o, meglio, il suo scheletro, esposto per sua stessa volontà testamentaria.
Proseguendo si cammina tra teschi e maschere in cera di gente da ogni parte
della penisola italica, non solo briganti meridionali. Ognuno dei reperti
riporta in una targhetta le generalità dell’individuo e il crimine per cui in
vita è stato perseguito. C’è di tutto: assassini, ladri, prostitute, truffatori.
Sono esposti alcuni oggetti appartenuti ad alcuni detenuti, come pugnali,
corde, grimaldelli e altri strumenti usati per disobbedire alle leggi vigenti. C’è
anche il costume del falso capo indiano Cervo Bianco, dietro cui si celava il
truffatore americano Edgar Laplante.
Ad un certo punto del percorso, si arriva ad una stanza con, al centro, quella
che fu la scrivania di Lombroso. Su di essa, in una teca in vetro, è in mostra
il vero teschio di Villella, con le incisioni realizzate dallo scienziato. Il
teschio, attorno al quale, da anni va avanti la querelle.
Una querelle che
vede, in entrambe le parti in causa, una parte di ragione.
Da una parte sarebbe indubbiamente cosa buona e giusta permettere, da parte di
chi lo richiede, siano essi discendenti o paesi di appartenenza, una degna
sepoltura per quei resti umani, anche perché è sempre possibile mantenere
l’esposizione con riproduzioni in gesso del cranio umano, come dimostra
l’esempio romano. Anche il tribunale di Lamezia Terme, il 3 ottobre 2012, diede
ragione al comitato.
Dall’altro lato, tuttavia, ogni museo è pur sempre una testimonianza storica. E
la storia è fatta da aspetti positivi e negativi. Ricordare il passato spesso è
doloroso.
Ma chiudere un museo, come qualcuno vorrebbe fare con il Lombroso,
significa tentare di cancellare la memoria storica di qualcosa che, piaccia o
meno, è avvenuto. E ciò non farebbe bene a nessuno. Meglio sarebbe se quel
luogo diventi, invece, occasione di approfondire, dopo tanti anni, aspetti
volutamente ignorati in passato, affinchè si possa comprendere meglio il perché
di molte situazioni odierne!