Spesso, ci facciamo mille domande su quel che sarà di noi dopo la morte. Cosa ci aspetta dietro quel muro d’ombra? Dicono che ci sia luce, e se non ci fosse nulla? E quaggiù, basteranno i ricordi di chi ci volle bene per continuare ad esserci?
Mentre ci ronzano in capo interrogativi, reincontri un amico che non vedevi da tanto, un giovane divenuto uomo a colpi di vita, che ti racconta una storia atroce e bellissima, che vale come una risposta. Ha con sé una cartellina azzurra con alcuni documenti: in uno, datato sei anni fa, si parla di “atto prezioso e ineguagliabile” e di qualcosa che è stato custodito con cura e attenzione, nell’altro si tratta di “un atto d’amore, un nobile gesto di profonda generosità e grande solidarietà“. E, infine, un invito presso l’aula magna del Policlinico di Bari, per un evento organizzato dalla Università degli Studi del capoluogo in uno col Centro Regionale Trapianti Puglia.
Ed ecco spiegato l’arcano. Nicola Schiavone era figlio di Vito, uno dei più stimati taglialegna di Bitonto. A nove anni, d’improvviso, perde il fratello Rocco e il genitore nel giro di una luna, e si ritrova praticamente a fare il capofamiglia. La seconda guerra mondiale è finita da poco, l’Italia conta sulla sua pelle ferite e macerie, il segreto per la rinascita è solo uno: lavorare sodo e basta. Ci sarebbe la prospettiva orfanotrofio, ma Nicola stringe i denti e a soli 17 anni è già “mèst“, con due operai a libro paga. La sua passione era la bicicletta, quando spingeva sui pedali si sentiva libero di volare e gli capitava pure di bruciare qualche ciclista professionista che incrociava sulla strada per andare a Bari o a Monte Sant’Angelo, dove spesso con gli amici si faceva allegramente bisboccia dinanzi ad una succulenta grigliata. Iscritto all’Albo dei Costruttori a Roma, inizia di pari passo col celebre commendatore Persia e gestisce un’azienda florida per venticinque anni. Insomma, tutto sembra sorridere a quest’uomo che si è costruito da solo.
Ma la sorte, si sa, tende agguati crudeli e spietati. Tutto ad un tratto, subisce un “bidone” di decine di milioni di lire, vede spegnersi fra le braccia l’amata moglie Cecilia: è burrasca. Pian piano, col sostegno dei figli, ricostruisce quanto basta per assicurare un’esistenza dignitosa a tutti. “Fra mille ostacoli e tempeste, bisogna credere sempre nel valore della famiglia”, sussurra commosso il figlio Vito, che si è realizzato lontano da qui, dopo averle tentate tutte. Ad aprile del 2021, prima l’avvisaglia di un ictus passeggero, poi una letale emorragia cerebrale.
Allora, la sua generosità e il suo altruismo proseguono il cammino su questa terra, con la donazione di tre organi, che regalano una speranza a chi, ferito dal dolore, quasi non ci credeva più. Qualcosa può ricominciare, anche quando tutto sembra finire.
E “U mest” Nicola Schiavone continua a vivere qui tra noi, grazie ad un atto di “autentica carità“…