di Marino Pagano* e Palmieri Angelo**
Una manifesta contraddizione grava sul nostro tempo, che rende velenoso il quotidiano vivere e sospinge ciascuno di noi verso un profondo senso di sfiducia e di paura del tempo a venire non disgiunto dalla egoistica affermazione della propria soggettività. Sfiducia e senso di autosufficienza finiscono per franare in un processo inarrestabile che porta verso l’inconsistente. Remo Bodei, in “Destini Personali”, parla di io “mongolfiera”, gonfio di sé, desideroso di felicità, ripiegato su sé stesso ed intento ad allentare i suoi rapporti con gli altri, incline a non affrontare e padroneggiare le proprie crisi di identità, apatico, indifferente a tutto, tranne che a sé stesso, pronto ad assumere un atteggiamento mimetico nei confronti dell’ambiente sociale circostante. Di certo la perdita di fiducia sembra rappresentare molto efficacemente l’hic et nunc tutto ripiegato su paure e frustrazioni di contro ad uno stato d’animo fiducioso del passato (ma illusorio!) di una società capace di condotte coerenti pronte a tradursi in aumento degli investimenti, della produttività, e crescita delle performance educative. Oggi quel capitale di fiducia è evaporato e si vive nella paura, rassegnati all’insicurezza o finendo vittime di forze che sfuggono al controllo. Non abbiamo una strategia, forse l’unica è quella minimalista di proteggerci dai rischi di una globalizzazione malata e contradditoria, anziché osare affrontarli con progetti ricombinatori chiari. L’unica risposta, purtroppo oltremodo infeconda, sembra ricadere sul senso di autosufficienza che restituisce un’immagine sfocata di una società euforica che vede nel processo di individualizzazione delle scelte e della vita il movimento di liberazione dalla paura, così come sottolineano Vincenzo Cesareo e Italo Vaccarini nel loro volume “l’Era del Narcisismo”.
In questa mimesi euforica, sempre più siamo spinti ad esercitare autonomia o libertà di scelta in ogni ambito di esperienza, dalla sessualità, alla selezione genetica dei figli, all’eutanasia. I nostri giovanissimi hanno scelto come ambito d’elezione il mondo virtuale sfrangiato da ogni legame possibile.
Dunque, ci troviamo alla prova di un nuovo terribile flagello, un virus rispetto al quale nessuno di noi può dirsi del tutto immune: il narcisismo, divenuto ormai patologia socialmente distruttiva capace di annullare relazioni e far naufragare il lavoro d’insieme.
Tutto sembra tradursi in un io delirante che vaga verso traiettorie incerte non capaci di infuturarsi, proiezioni di progetti di vita ripiegati su sé stessi senza scopi intellegibili, come conseguenza di una struttura sociale e culturale significativamente modificata.
Ma quali prospettive di cambiamento per arginare un orientamento antropologico così pervasivo e, nei fatti, anticomunitario?
È del tutto evidente la necessità di ricombinare il nostro sistema sociale, lavorando alla creazione di comunità forti e solidali: di “minoranze profetiche da choc”, per usare un’espressione di Jacques Maritain in “L’uomo e lo Stato”. Queste realtà dovrebbero saper respingere le seduzioni dell’arroccamento fondamentalista e dell’autodissolvimento relativista, dando vita ad un pensiero realmente alternativo. Occorre ripartire insieme per generare un futuro nuovo, abbandonando le strettoie dell’autoreferenzialità per abbracciare il mondo e gli altri.
Investire sul proprio io l’intera felicità appare un’operazione fallace e mortifera: è bene ricordarlo che la felicità non è mai una vicenda privata. Per dirla con Adriano Pessina, questo processo sociale porta ad un’insoddisfazione dell’io stretto tra “Prometeo e Dio”. Il grande Zygmunt Bauman, in un suo celebre intervento ad Assisi, ha tracciato una breve ed efficace storia dell’umanità, incentrata sul pronome “noi”: è l’’espansione di questo pronome che può salvarci. È questa una sfida che coglie in profondità la ragione stessa della nostra esistenza perché in fondo siamo tutti dipendenti gli uni dagli altri. Certo una via non facile, ma comunque una via salvifica che necessita di coerenza e la coerenza, si sa, è l’immagine di un’unione stretta, solida, è assenza di contraddizioni, è la qualità dell’unità indivisa, che si muove nella stessa direzione con ogni sua parte.
Importante ricordare anche quanto sostenuto dal sociologo Ulrich Beck. Egli aveva parlato di “società del rischio”, in cui gli individui, piuttosto che condividere uno scopo comune, sono impegnati nel cercare di mitigare e affrontare i rischi che percepiscono. In una società in cui ognuno tende a ritenersi autosufficiente e in cui il narcisismo sembra annullare la disponibilità all’altro, emergono nuove forme di vulnerabilità. Il rischio maggiore, infatti, è di perdere il senso di significato della propria esistenza che, come proprio Bauman ha evidenziato, è un orizzonte collettivo, e solo in tale contesto può essere vissuto pienamente.
Dunque, di fronte alle realtà appena delineate, diviene davvero indispensabile un deciso e dirimente cambio di rotta. Non basta riconoscere i limiti dell’individualismo e della ricerca narcisistica della felicità: serve, piuttosto, un impegno per ricostruire un sistema valoriale basato sull’interdipendenza e sul “noi” come nuova chiave di lettura.
*giornalista, saggista ** sociologo, educatore di comunità