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Home » La Storia. Terza puntata/Una possibile ipotesi interpretativa della “lastra del mistero” dell’ambone nella Cattedrale di Bitonto

La Storia. Terza puntata/Una possibile ipotesi interpretativa della “lastra del mistero” dell’ambone nella Cattedrale di Bitonto

Potrebbe trattarsi di un un bassorilievo rievocativo di una vecchia cerimonia feudale abbandonato dopo la scomparsa dell'egemonia normanna, riutilizzato, secoli dopo, nel rifacimento dell'arredo sacro

Prof. Nicola Fiorino Tucci by Prof. Nicola Fiorino Tucci
14 Agosto 2023
in Cronaca
La Storia. Terza puntata/Una possibile ipotesi interpretativa della “lastra del mistero” dell’ambone nella Cattedrale di Bitonto
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Come abbiamo chiarito precedentemente, l’ambone della Cattedrale che oggi ammiriamo è frutto di un maldestro assemblaggio voluto da un vescovo iconoclasta e pasticcione; ed il bassorilievo postergale non gli appartiene ab initio perché nessuna delle fonti antiche ed autorevoli lo ricorda. Pertanto, non essendo databile al 1229, esso non rappresenta Frederico II di Svevia e la sua regale famiglia.

A questo punto, le domande relative alla “lastra del mistero”, come è stato di recente definito il bassorilievo postergale dell’ambone nella Cattedrale di Bitonto, sono due: qual è la sua probabile datazione? Chi sono i personaggi in essa rappresentati? Tentiamo di rispondere in maniera coerente e credibile ad entrambe, utilizzando documenti consultabili ed attendibili.

Sculture di nobili personaggi simili a quelli del bassorilievo bitontino sono presenti a Verona ed in alcune città francesi (confr. figg. 3, 4, 5) e si datano fra XI e XII secolo sulla base degli abiti, della lavorazione lapidea, dell’assenza di profondità della scena riprodotta, della presenza di attributi regali piuttosto comuni nell’iconografia ufficiale di tutte le dinastie reali dal IX al XIV secolo: la corona dentellata, lo scettro gigliato, il trono basso, l’ aquila, che si riscontrano anche nel nostro bassorilievo. Questi materiali iconografici sia a Verona sia in Francia si riferiscono al periodo normanno, che nel nostro Meridione impegna tutto il XII secolo.

Quindi, sono figure di nobili normanni quelle rappresentate nel bassorilievo? Crediamo di sì. La presenza di questo popolo a Bitonto è attestata da due torri tuttora esistenti e da nomi normanni citati in atti notarili del Codice Diplomatico Barese relativi alla città; alcuni nomi propri sono anche incisi su pietra come il Gualtierus riportato in un’epigrafe del ciborio o il Willielmo domino ed il Girardus comestabulus (confr. fig. 6), scolpiti sulla cortina esterna dell’abside della Cattedrale. Cattedrale che, a parere pressoché unanime degli studiosi, deve la sua costruzione alla disponibilità anche finanziaria dei Normanni. Inoltre, la carta n. 27 riportata a pag. 46 del quinto volume del Codice Diplomatico Barese ricorda un “Robertus comes filius Willielmi comitis dominator civitatis Betonti”, cioè feudatario di Bitonto, chiamato a garantire un certo Melo, abitante di Bari, circa il possesso di una corte con alberi di olivi in località Sao (vicino Bari). L’atto è redatto dal notaio privato di Roberto, Alefantus, ed è datato al novembre 1097. Quindi, ne deduciamo che, sul finire dell’XI secolo, Bitonto era una “contea” normanna. Come Giovinazzo, Andria e Trani. Ed anche Bari. Ma per essere “contea” nel 1097, Bitonto deve aver subito un’infeudazione almeno qualche anno prima, cioè deve essere stata concessa ad un feudatario dal suo diretto superiore, il Duca di Puglia e Calabria. Ora, noi sappiamo che nell’ultimo venticinquennio del XII secolo (1075 – 1099) il controllo normanno sull’Apulia era esercitato dai duchi Boemondo, Ruggiero e Guglielmo, della potente famiglia degli Altavilla. Solo ad essi spettava, secondo le procedure feudali normanne, nominare un vassallo locale: il che avveniva durante una cerimonia, l’infeudazione, appunto, piuttosto importante e solenne, alla presenza del duca stesso e di testimoni ufficiali. Non è da escludere, quindi, che l’avvenuta nomina a dominator civitatis Betonti di un Roberto o di un Guglielmo normanni sia stata ricordata su una lastra di pietra, forse esposta in una sede ufficiale del potere civile, in età normanna, molto contiguo anche territorialmente a quello religioso.

Ciò premesso, se si riconsidera il bassorilievo esposto sul parapetto dell’ambone, è evidente che delle quattro figure umane in esso presenti quella seduta, in basso a sinistra, è certamente un personaggio importante, considerate le insegne che la caratterizzano: corona dentellata, scettro gigliato, trono basso; delle altre tre quella centrale, in alto a destra, ha in testa una semplice corona a fasce, che nell’araldica è propria del barone, il primo gradino della gerarchia feudale, ed un mantello fermato, però, dallo stesso tipo di borchia usata dalla figura seduta: è, quindi, un altro nobile ma gerarchicamente inferiore al precedente. Gli altri due personaggi non hanno insegne nobiliari ma quello più in alto porta una ‘cervelliera’, un elmetto proprio dei soldati. Sulla base di quanto detto poco sopra, si può ritenere che il bassorilievo riproduca una cerimonia di investitura: il neovassallo, contraddistinto da una corona semplice, si presenta al suo duca, seduto in trono con indosso le insegne del potere normanno, per essere investito della carica di “dominator”, cioè feudatario della città. Egli è seguito da un personaggio, che, considerata la ‘cervelliera’ sulla sua testa, probabilmente è un cavaliere, ed è preceduto da un altro, forse un alto esponente della città, a giudicare dal suo abbigliamento, una tunica a “V” coperta da mantello. La scena si svolge all’interno di una sala la cui profondità è simulata dallo scalare degli archi verso l’alto, perché all’epoca non si conosceva ancora la prospettiva (sec. XI – XII). Da notare, a tal punto, che gli abiti indossati dai personaggi del bassorilievo richiamano molto le tuniche longobarde, strette da una cinta penzoloni, ereditate e portate per lungo tempo dai Normanni invasori come dimostrano proprio le figure presenti nelle sculture di Verona e delle città francesi già citate (confr. figg. 3, 4, 5). Inoltre, l’atteggiamento solenne e deferente dei personaggi inquadra l’importanza della scena in un’atmosfera chiaramente alto medievale creata da archi romanici, uova di drago, rosette, racemi, grappoli d’uva ed altri motivi decorativi in voga nel primo periodo romanico (XI – XII secolo) quando ancora domina anche una certa promiscuità onomastica, che affianca nomi di chiara estrazione longobarda (Alefanto, Arnolfo, ritenuto il primo vescovo di Bitonto) ad altri tipicamente normanni (Guglielmo, Gerardo, Gualtiero). Questi riscontri sembrano suggerire, quindi, una datazione del nostro bassorilievo fra fine XI e metà XII secolo (1080 – 1150), non oltre, cioè al primo periodo di dominazione normanna nell’Italia meridionale.

Non dovrebbe essere, quindi, del tutto inopportuno ipotizzare che un bassorilievo rievocativo di una vecchia cerimonia feudale, una volta scomparsa l’egemonia normanna e diventata Bitonto, con gli Svevi, da contea una regia civitas, sia stato abbandonato in qualche deposito della Cattedrale per essere riutilizzato, secoli dopo, nel rifacimento di un arredo sacro come l’ambone. E per alimentare, anche, molta curiosità.

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