Oggi ho voglia di vivere, di respirare.
Prendo coraggio ed esco timidamente la testa ancora frastornata e, a tratti intorpidita dalla tristezza: le gambe appaiono terrorizzate ed instabili, traballano come fossero equilibristi inesperti, barcollano come fossero uomini ubriachi di buon vino rosso disposti a schiera dinnanzi all’uscio di un’osteria di paese, ondeggiano come fossero creste marine che si infrangono soavemente contro la battigia; le braccia oscillano delicatamente prima in avanti poi indietro come fossero antichi orologi a pendolo, dondolano come fossero vivaci altalene colorate, fluttuano come fossero cime di alberi secolari dalla corteccia miseramente intagliata e scalfita dallo scorrere del tempo.
Distendo il collo, quasi superbamente, e sento la schiena irrigidirsi, di colpo contrarsi: respiro ancora ed osservo stupefatta ogni dettaglio di un mondo così sconosciuto, così estraneo, così desolato; un mondo deserto come spiagge d’inverno, spoglio come alberi d’autunno, arido come campagne in guerra contro la siccità. Osservo un mondo sterile come il ventre di una donna dolorosamente infeconda, un mondo esanime come un corpo che giace svenuto, un mondo silenzioso come una fabbrica in sciopero.
Guardo le impalcature vuote e solitarie che rivestono rigidamente i palazzi malinconici ed affranti dalla nostalgia dei tempi lontani, dalla nostalgia della seducente libertà, dalla nostalgia delle umane vibrazioni, nostalgia degli umani respiri.
Guardo le strade avvilite, allietate solo in parte da qualche sparso fusto verdeggiante.
Guardo il cielo malinconico che lacrima silenziosamente.
E poi ancora guardo le farmacie affollate, i supermercati gremiti d’anime irrequiete e turbate, d’anime intimorite e spaventate, d’anime molestate dalla paura della vicinanza, una vicinanza prima tanto genuina ed ora così folle e nauseante. Guardo le auto in corsa costante, presidiate da conducenti ansiosi, desiderosi di pace, desiderosi di aria salvifica, desiderosi di casa: guardo le loro soffocanti FFP 1, 2 o 3, non saprei, i loro visi segnati ed arrossati, le loro mani sudate e strette sul volante, i loro occhi storditi e vagabondi, i loro sguardi persi, i loro pensieri intricati.
Vedo bimbi che alle finestre appendono i loro sogni, che alle porte agganciano le loro speranze; vedo mamme che impastano le loro paure, che cuciono i loro tormenti, i loro presentimenti; vedo papà che sorseggiano tazzine colme d’amarezza e d’insicurezza, mentre le notizie strazianti dei tg imputridisco l’atmosfera di per sé già torbida. Vedo nonni abbracciati agli album dei ricordi per esorcizzare la solitudine, vedo nonne strette ai telefoni per scongiurare la lontananza.
Vedo ovunque uomini vestiti di paura, cinti dal terrore, sopraffatti dalla disperazione; vedo prigionieri segregati, rinchiusi, improvvisamente intrappolati; vedo gabbiani senza ali e leoni senza forza; vedo cieli senza stelle ed orizzonti senza tramonti; vedo estati senza sole ed inverni senza neve.
Vedo, ma ho paura di vedere davvero, uomini così smarriti che hanno dimenticato il loro essere davvero uomini, certo fragili ma liberi.
Ed ora, purtroppo, non siamo più liberi e forse più nemmeno poi così tanto uomini.
di Emanuela Rinaldi