La Repubblica Italiana, quella sancita dal referendum del 2 giugno ’46 e retta dai partiti politici, sorse dalle ceneri di un’Italia distrutta dalla Seconda Guerra Mondiale e dalle rovine del precedente regine guidato dal Partito Fascista, che a Bitonto aveva governato attraverso Lorenzo Achille, Serafino Santoro e Giovanni Battista Dragone, i podestà che avevano amministrato la città dopo l’avvento del fascismo e la soppressione del Consiglio Comunale (con la legge comunale e provinciale stabilita dal regime il sindaco, rinominato appunto “podestà”, avvalendosi di delegati, assessori e del segretario del Fascio locale, organizzava i consigli comunali, secondo la concezione totalitaria che il fascismo aveva del Partito).
Fu l’ultimo podestà, Dragone, che, dopo l’armistizio del settembre 1943, fu costretto a consegnare i poteri al Comitato di Liberazione Nazionale (che riuniva le forze antifasciste) e al commissario prefettizio da esso nominato Giuseppe Zaza.
Furono anni concitati, per l’Italia e per Bitonto, nonostante la nostra città sia riuscita ad evitare bombardamenti e scontri armati, che in altre città vicine, a partire da Bari ci furono. Bombardamenti come quello del 2 dicembre del ’43, quando il porto di Bari fu attaccato dai tedeschi, che distruggendo le navi alleate, sprigionarono il gas iprite contenuto in esse, causando circa duemila morti tra civili e militari. E altri bombardamenti ci furono a Bitetto, Noci e altri comuni limitrofi, come ricordò il professor Michele Giorgio qualche tempo fa sul “da Bitonto”, ricordando anche il timore di altri bombardamenti a Bitonto e «le frequenti fughe nel rifugio delle suore Maestre Pie Filippini, quando suonava l’allarme del Comune o dell’officina Vitone».
Nel capoluogo, il giorno dopo dell’armistizio, il 9 settembre ’43, una protesta dei cittadini contro i tedeschi, in Via Dell’Arca, finì in tragedia quando i militari stranieri aprirono il fuoco causando una ventina di vittime. A Barletta, invece, il 12 settembre del ’43, 11 vigili urbani e due netturbini furono vittime di rappresaglia nazista, dopo che, in un’imboscata, due tedeschi erano stati uccisi. Episodi come tanti altri che, per fortuna a Bitonto si evitarono. Nonostante il rischio ci fu in due occasioni. La prima fu nel luglio ’43, dopo che dai microfoni di Radio Londra era stata annunciata la fine del regime fascista e diverse proteste furono organizzate per manifestare contro la presenza tedesca e per rimuovere i simboli fascisti. Il colonnello Pasquale Lomaglio, facendosi garante dell’incolumità dei tedeschi, riuscì ad evitare violenze e successive rappresaglie. La seconda fu qualche giorno dopo, il 28 luglio, quando un altro colonnello dell’esercito, Pasquale Mirabella, convinse i bitontini e i tedeschi a desistere da azioni violente.
Con la caduta del fascismo e con l’armistizio e la cacciata dei tedeschi, anche molti palazzi pubblici e privati di Bitonto divennero sedi operative degli Alleati. «Bitonto in un tripudio di gioia, ha accettato trionfalmente le truppe di liberazione» annunciava nel settembre del ’43 il colonnello Stevens da Radio Londra, come ricordò nel numero di Luglio Agosto 2010 del “da Bitonto” Franco Nacci, sottolineando anche come l’accoglienza trionfale rivolta agli Alleati fu anche dovuta al forte movimento antifascista democratico che era sorto in città: «Il più grande in terra di Bari. In fondo Bitonto era la terra dei Saracino, dei Nacci (mio zio Giovan Battista era al confino politico)».
La situazione era davvero difficile. Anni di guerra avevano lasciato cicatrici profonde e, tra i bitontini, la povertà era il nemico più ostico da combattere. L’arrivo degli Alleati per molti fu una fortuna, perché la costruzione di caserme e avamposti. Molti furono impiegati ad esempio nella caserma 10-10, che dai bitontini fu ribattezzata “jo-jo”. Quella che, per cause mai stabilite, il 22 maggio ’44 esplose causando la morte di due soldati inglesi e dodici operai bitontini.
Con gli alleati arrivarono abiti (inviati dagli italo-americani) cibo e sigarette. Ma la povertà fece anche in modo che le provviste inviate ai soldati qui stanziati divenissero preda della malavita, che instaurò a Bitonto un mercato del contrabbando in cui si vendevano abiti, cibo (le provviste alimentari erano razionate e i negozi non potevano vendere ai cittadini oltre un quantitativo indicato in una scheda di cui ognuno era in possesso). Gli inglesi, comprendendo lo stato di povertà in cui versava la popolazione, spesso chiudevano un occhio. Ma quando si scoprì che tra il materiale trafugato c’erano pure i nastri portanti in cotone per le mitragliatrici (veniva utilizzato per realizzare indumenti, ma così le munizioni divenivano inservibili) fecero irruzione nel centro storico, dove si pensava vivessero i responsabili. Del mercato nero. Ne nacquero disordini che portarono alla morte di due persone innocenti, Girolamo Saulle e Grazia Fringuello, uccise da proiettili inglesi. Ulteriori tragedie furono evitate perché altri cittadini riuscirono a disarmare i militari britannici. Era il 3 dicembre ’43.
Quella stessa povertà fu alla base dei tumulti di qualche anno dopo, di cui abbiamo già raccontato.
Ma torniamo al panorama politico di quegli anni. Con la caduta del Fascismo, in tutte le città fu creato il Comitato di Liberazione Nazionale, per gestire la comunità, sostituire gi amministratori del vecchio regime e nominare commissari governativi al loro posto. Di questi comitati facevano parte tutte le forze politiche che si erano opposte a Mussolini e che, dunque, iniziavano a pensare alla ricostruzione di un paese distrutto dal conflitto mondiale. E si occupavano anche di dare sostegno alla lotta partigiana che ancora c’era in altre zone d’Italia, anche attraverso Radio Bari che, dal ’43 al ’45, trasmettendo in tutto il Mediterraneo, divenne luogo di incontro di tutti gli intellettuali dell’epoca (Benedetto Croce, giusto per citarne uno) e degli esponenti dei rinati partiti politici. Radio Bari fu anche la prima radio a trasmettere musica jazz e swing, che durante il Ventennio, erano proibite.
Caduto il nemico comune fascista, quelle forze politiche iniziarono anche a manifestare diversità di vedute e contrapposizioni, costruttive da un lato, ma in alcuni casi anche violente, come abbiamo già evidenziato domenica scorsa. Complice anche la contrapposizione dell’Europa in due blocchi, L’Italia era nel blocco occidentale, pur avendo una forte presenza di comunisti e socialisti. La più forte tra i paesi del blocco occidentale.
Finita la guerra, nel ’46 si giunge, quindi al primo voto libero a Bitonto, le elezioni amministrative del 7 aprile, in cui votarono in 18.289, l’88,6%. Furono le prime elezioni in cui votarono anche le donne. Vinse la Dc, che nominò sindaco Nicola Calamita, sostituendo il comunista Arcangelo Pastoressa, primo cittadino dal ’45.
In questo clima, caratterizzato da speranza, ma anche da contrapposizioni, si riaccese un dibattito politico fatto di guide al voto, di manuali per la propaganda dei partiti, che funsero anche da strumenti di alfabetizzazione per la popolazione a gran parte analfabeta. E di slogan, spesso dialettali, per fare maggiore presa sui cittadini, urlati con i megafoni per le strade.
Il centro della politica, a Bitonto, era tra piazza Marconi e Corso Vittorio Emanuele II, dove avevano sede molti partiti politici. Di quelle sedi, oggi ne rimangono poche, tra cui quella più storica e la cosiddetta “pescara” sede del vecchio Partito Comunista (e in più occasioni si è pensato di chiuderla).
Segno tangibile, tutto ciò, della crisi della politica e dei partiti.