Conclusa la Seconda Guerra Mondiale, un’altra guerra ebbe subito inizio. Una guerra diversa, fatta non di scontri armati, ma di minacce nucleari, di corsa per raggiungere il primato bellico, tecnologico e persino quello delle esplorazioni spaziali. Fu la cosiddetta Guerra Fredda, chiamata così per l’assenza di scontri tra eserciti (nonostante i momenti caldi ci furono, come le guerre in Corea e in Vietnam).
Mentre ormai il nemico comune, l’Asse tra Italia, Germania e Giappone, era sul punto di crollare definitivamente, le potenze vincitrici si incontrarono a Jalta, città della Crimea, in Unione Sovietica, dal 4 all’11 febbraio ‘45. A rappresentare gli stati furono Franklin Delano Roosevelt per gli Usa, Winston Churchill per la Gran Bretagna e Iosif Stalin per l’Urss.
In quell’incontro, ricordato come Conferenza di Jalta, fu deciso lo smembramento, il disarmo e la smilitarizzazione della Germania, visti condizione necessaria per la pace futura. Usa, Urss, Regno Unito e Francia avrebbero dovuto gestire ciascuno una zona di occupazione, provvisoriamente. Doveva essere provvisorio, ma nel 1949 si attuò la divisione della Germania in Est e Ovest. L’Est apparteneva al blocco comunista siglato pochi anni più tardi dal Patto di Varsavia, a guida Urss, l’Ovest al blocco occidentale o blocco capitalista, che si riconobbe nel ’49 nella Nato (North Atlantic Treaty Organization), a guida Usa.
Una divisione, questa, che non riguardava solo i confini territoriali, ma toccava da vicino le politiche dei partiti e le loro finanze, dato che Dc e Pci avevano finanziamenti rispettivamente da Usa e Urss. Persino il modo di pensare delle persone era influenzato, perché, in base all’appartenenza ideologica, si guardava con favore l’uno o l’altro blocco. Chi era di ideologia socialista o comunista, chi simpatizzava per i partiti che nel socialismo trovavano la loro ragion d’essere, vedeva con ammirazione all’Unione Sovietica e al “sol dell’avvenire”, metafora usata per indicare l’Internazionale e l’avvento della rivoluzione, il sole che avrebbe irradiato il futuro mondo socialista, illuminando le sorti dei lavoratori e liberando le classi oppresse dalla schiavitù dei padroni. Un sistema politico ed economico in cui la proprietà privata e l’economia basata sul profitto sono essere sostituite dalla proprietà pubblica e dal controllo comune dei mezzi di produzione, come ad esempio miniere ed industrie.
Proprio nel ’49, quando nacque la Nato, ci fu una manifestazione contro di essa e contro l’adesione dell’Italia. Vi prese parte il socialista e futuro sindaco Angelo Custode Masciale.
Chi invece era di ideologia liberale e liberista guardava ad occidente e agli Stati Uniti favorevoli all’iniziativa economica libera, non guidata dallo stato, secondo il principio liberista della “mano invisibile del mercato”, che afferma la tendenza di quest’ultimo (la mano invisibile ne è una metafora) ad evolvere spontaneamente verso la struttura più efficiente possibile, che è poi il “mondo migliore” sia per il produttore che per il consumatore. Quindi, per il liberismo, il sistema-mercato tende verso una situazione di ordine crescente. Nel pensiero capitalista è legittima la proprietà privata dei mezzi di produzione ed è preferibile alla regolamentazione governativa di proprietà e mercati. Il sistema economico, e per estensione l’intera società, funziona in base alla possibilità di accumulare e concentrare ricchezza in una forma trasformabile (in denaro) e reinvestibile, in modo che tale concentrazione sia sfruttata come mezzo produttivo.
L’appartenenza ideologica era tale da influire non solo sul modello economica da inseguire, ma anche su altri campi. In campo religioso, ad esempio. Diffuso era, a sinistra, l’ateismo, in quanto l’ideologia marxista reputava la religione un’illusione utile a mascherare all’uomo la sua vera condizione, il suo essere sfruttato e oppresso. “L’oppio dei popoli” come l’aveva definita Marx.
L’appartenenza ideologica influiva anche il modo di vedere la storia e il presente. E questo, se da un lato era alla base di accesi dibattiti culturali e politici in cui si interpretavano le istanze della società in vista di un orizzonte verso cui andare, (anche all’interno dei due schieramenti, dove erano tante le divisioni e i modi di vedere la realtà), dall’altro lato non permetteva spesso di guardare con obiettività gli eventi, limitando ad una visione parziale e faziosa.
Per spiegare meglio ecco alcuni esempi. Durante la lotta partigiana crimini e atti orribili furono commessi anche dai partigiani. Vendette non solo verso ex fascisti, ma anche verso chi era stato o era ancora vicino a fascisti, addirittura anche verso partigiani non comunisti, si consumarono durante la guerra civile e anche nell’immediato dopoguerra. Ma la paura di sminuire l’importanza della lotta antifascista fece in modo (e, in parte, anche oggi è ancora così) che da parte comunista e socialista si tendesse a sminuirne la gravità di crimini o a negarne l’esistenza.
Stessa cosa per i limiti dell’economia socialista, i crimini commessi dai regimi comunisti e per la tragedia delle foibe, che vide anche bitontini tra le vittime: Giovanni Ciccarone, Giacomo De Sario, Emanuele De Sario, Giuseppe Murgolo, Emanuele Planelli e Giacomo Ungaro.
Anche oggi, quella tragedia vede noi italiani incapaci di ragionare con la necessaria serenità ideologica. Se da una parte si tende ancora a sminuire, a negare o a spiegare il comportamento dei titini come una vendetta per i soprusi dei fascisti in quelle terre, dall’altra parte si usa quella tragedia in chiave anticomunista, per screditare l’avversa parte politica, senza che nessuno ricordi che dietro quella tristissima vicenda ci sono tante, tantissime cause e concause.
È vero che una forte volontà di vendetta, alla base delle violenze, ci fu. L’esercito italiano non fu certo tenero con la popolazione slava durante l’occupazione, ma fu responsabile di numerosi crimini di guerra. Ma considerare questa l’unica causa significa non comprendere quel che avvenne, dato che oltre agli ex fascisti a finire in quelle profonde caverne furono anche civili ed ex partigiani non comunisti. Anche perché da parte slava si tentò di ridurre la popolazione italiana per poter più facilmente rivendicare il diritto a governare l’intera Venezia Giulia e la Dalmazia, al centro, in realtà di guerre sin dalla seconda metà dell’800, sin da quando la crescita di un’appartenenza nazionale e l’avvento dei nazionalismi portarono, tra gli italiani di Dalmazia e di Venezia Giulia, alla crescita della volontà di togliere quelle regioni all’Impero Austro-Ungarico per portarle nel Regno d’Italia. Per la conquista delle “terre irredente” l’Italia aderì alla Prima Guerra Mondiale e fu il mito della vittoria mutilata (l’aver vinto la guerra senza aver ottenuto quanto sperato, Istria e Dalmazia appunto) uno dei motivi dell’ascesa del Fascismo.
Il treno che trasportò gli esuli fu preso sassate, bloccato da comunisti e sindacalisti della Cgil che videro in quei profughi costretti a lasciare le loro case dei nemici che fuggivano non dal nemico, ma perché «impauriti dall’alito di libertà che precedeva o coincideva con l’avanzata degli eserciti liberatori», come scrisse l’Unità. Fuggivano da quel che consideravano un paradiso, un luogo dove stava verificando la tanto attesa liberazione, dove stava sorgendo il “sol dell’avvenire” (anche se, è da sottolineare, la Jugoslavia non aderì mai al Patto di Varsavia e preferì perseguire una strada verso il socialismo alternativa all’Urss). Erano, in poche parole, alla stregua di traditori.
Sbagliavano, certo, ma il loro modo di pensare era forgiato dall’ideologia nel bene e, come in questo caso, nel male. Prime voci critiche verso l’Urss, da parte comunista e socialista si mossero dopo la repressione delle proteste a Budapest e a Praga.
Ma d’altronde non era certo diverso nell’altro campo. Anche chi si guardava ad occidente faceva fatica a riconoscere i limiti del sistema capitalista, lo sfruttamento dei paesi poveri, i crimini di guerra commessi anche dalle potenze Alleate durante la guerra. Appoggiava spesso le guerre imperialiste mosse dai paesi occidentali.
A tutto questo poi, si aggiunse la ragion di stato che spinse a mettere una pietra sopra molti eventi. Per favorire la pacificazione ed interrompere scontri tra fazioni o in funzione anticomunista, spesso gli ex fascisti furono riciclati nel nuovo assetto politico. La stessa questione delle Foibe fu messa sotto silenzio anche per questo. I responsabili jugoslavi, richiesti dall’Italia, non furono mai consegnati. Come del resto l’Italia non consegnò mai i gerarchi fascisti responsabili di crimini di guerra nella penisola balcanica.