di Valentino Losito
“Spatriati” è il romanzo di Mario Desiati vincitore del Premio Strega 2022, presentato, nei giorni scorsi, a Bitonto, in una Sala degli Specchi stracolma di appassionati lettori, con Mario Sicolo, direttore del “da Bitonto”, rivista cittadina che festeggia i suoi primi 40 anni, la professoressa Mariangela Brancale, l’attrice Elisabetta Tonon e il sindaco Francesco Paolo Ricci. Il libro ha portato all’attenzione del panorama nazionale una parola che esprime un modo di dire ma soprattutto di essere al Sud. Nel libro il termine viene usato per indicare quelli che vanno via, che lasciano la propria terra nella ricerca disperata di un lavoro e di un posto nella società, ma anche quanti, nei paesi, sono raminghi, senza meta, balordi, irrisolti e dispersi.
Nel vocabolario della saggezza paesana, sempre aggiornato dalla fervida fantasia popolare, il termine “spatriato” è infatti associato non solo a chi si aggira per le strade senza fissa dimora, soprattutto mentale, ma anche a chi attraversa un periodo non facile della propria vita, quando si vaga con la testa fra le nuvole e lo spirito sotto terra. Insomma quei “pazzi sprasolati e un poco scemi” per i quali Lucio Dalla voleva aprire “un circolo serale”.
C’è sempre meno spazio e meno attenzione per questa umanità di confine che popolava le nostre città, gironzolando senza meta e fuori da ogni schema o imposizione, con una spensierata malinconia per la quale i “normali”, chiusi nelle “patrie” delle proprie certezze, provavano anche un po’ di sana invidia. In questo lo “spatriato” è fratello del “flaneur”, cioè di colui che passeggia cogliendo con tenerezza l’universale nell’effimero dettaglio, in una congeniale simbiosi tra pietas, ironia e malinconia.
Questo girovagare, con attenzione ai particolari, fonte di ispirazione ad emozioni profonde, fu reso celebre dal poeta simbolista Charles Baudelaire. Il flanuer è predisposto alla meraviglia: può apparire ozioso e dissipatore di tempo, ma è soprattutto un curioso e cercatore di sorprese. Nelle sue passeggiate assapora la città e le sue meraviglie, contenute in ogni angolo: gioie ed emozioni poi vergate su carta, magari in poesia in forma di racconto.
Sono gli “spatriati” a seguire il consiglio d’artista di Renzo Arbore. A chi gli chiedeva quale fosse il suo motto e, in fondo, il suo segreto di ideatore di tante trasmissioni che hanno fatto la storia della televisione italiana, Arbore rispose: “Occorre razzolare nell’inconsueto”. Un motto che può valere per tutti e per ogni dimensione della vita. Razzolare, cioè cercare insistentemente tra più cose, rovistare, avere pazienza e soprattutto curiosità. Non avere un ordine e un’idea già precostituiti, ma cercare in quello che ai più può sembrare sbagliato, perduto e senza valore. E poi disporsi a inoltrarsi su nuove strade, poco battute o inesplorate. Essere pronti a farsi sorprendere. Non fermarsi alla prima osteria, come suggerivano gli antichi, non accontentarsi della prima cosa che capita. Lasciare spazio alla fantasia, non farsi prendere la mente e il cuore dalla presunzione di conoscere tutto, dall’onnipotenza dell’uomo elettronico. Cercare sempre, ad iniziare dall’uso delle parole, un’uscita laterale che si affacci sul non ancora conosciuto. Lasciare sempre un uscio aperto, per farci sorprendere dalla vita. Avere riserve di stupore e desiderio di scoprire cose nuove.
E gli “spatriati” – infine – sono anche o soprattutto poeti forse a loro insaputa. Nell’ultimo volume della “Ricerca del tempo perduto” Marcel Proust afferma che “la grandezza dell’arte autentica sta nel farci conoscere quella realtà lontano dalla quale viviamo, dalla quale ci allontaniamo sempre più via via che acquista spessore e impermeabilità la conoscenza convenzionale che le sostituiamo. Quella realtà che rischieremmo di non conoscere mai e che è semplicemente la nostra vita, la vera vita, la finalmente scoperta e resa chiara, la sola vita, di conseguenza, realmente vissuta, quella vita che, in un certo senso, abita ogni momento in tutti gli uomini così come nell’artista”.