Dino Borri è urbanista di fama internazionale.
E’ professore universitario presso il Politecnico barese e per questo spesso viene interpellato da colleghi più insigni di noi per sapere quale futuro avrà il capoluogo.
Sì, è tradizione invalsa del giornalismo italico ogni poco consultare gli oracoli di questi guru o presunti tali che potrebbero leggere nella sfera di cristallo il domani più incerto che ci sia.
Dunque, qualche giorno fa, sul dorso locale di Repubblica, Antonio Di Giacomo (tanto nomine) ha chiesto al suddetto cosa pensa dei graffiti ritrovati a Bari vecchia.
Allora, ad un certo punto dell’intervista, parlando della crisi d’appeal della sua città – fatto che a noi proprio non dispiace – il prof afferma: “Bari sta soffrendo di una perdita di attrattività che non esiterei a definire impressionante e non solo rispetto alle tante città d’arte italiane ed europee, ma anche in raffronto ai centri vicini che sembrano più capaci di attrezzarsi dinanzi alle nuove domande di cultura urbana“.
L’atto d’accusa di Borri appare durissimo. E quando il giornalista lo incalza, chiedendogli di fare un esempio, somma è stata la nostra sorpresa: “Senza andare troppo lontano, pure nella vicina Bitonto si è compiuta una buona riqualificazione del centro storico, a partire dal restauro della Torre Angioina, e si aperto un importante spazio museale attraverso la Galleria nazionale d’arte della Puglia. A Bari, invece, viaggiatori e residenti in un giorno di festa – durante il quale il commercio è largamente e colpevolmente chiuso – non hanno alcun santo culturale al quale votarsi, mentre i croceristi vengono portati in giro su trenini improponibili, da sagra strapaesana. Non ci resta che il lungomare, ma non può bastare“.
Al netto delle pene baresi, di cui poco o nulla ci cale, e registrata con soddisfazione una sorta di mal celata invidia, urge riflettere sui riferimenti lusinghieri riguardanti la nostra città.
Il docente universitario conosce bene la rinascita del nostro cuore antico dal momento che anni fa fu incaricato di redigere col Cerset un documento di fattibilità circa proprio il recupero del centro storico bitontino. In quelle pagine dettagliate si poteva leggere già in controluce il progetto di Rinascimento artistico-architettonico e tout court culturale di Bitonto.
Una serie di idee illuminate applicate nel corso degli ultimi anni hanno fatto sì che si realizzasse la palingenesi.
E simbolico è il fatto che si torni ad evocare come simbolo il Torrione Angioino, che sembra pronto ancora una volta a rivestire il ruolo di maschio difensivo.
Ora, non rimane che chiedersi perché non seguire il sentiero della cultura per rimarcare non dico una superiorità, ma quanto meno un’alterità, una diversità, un’identità nostra (anche corroborata da una grande storia) rispetto a BariCittàMetropolitanaMolochdivorantetuttoetutti…