(di Donato Rossiello, Nico Fano)
È trascorso un po’ di tempo dal battesimo di questa rubrica. Sin dalla nostra presentazione gli intenti erano chiari, espliciti. Alla portata di tutti. “La Borsa o la vita” si prefigge il compito di trattare ed analizzare in modo chiaro e sintetico dei temi provenienti dall’aggrovigliato ambito della Borsa e della finanza, fornendo semplificazioni, suggerimenti ed informazione con un tono leggero, molto spesso ironico e – si spera – coinvolgente. Argomenti seri affrontati con piglio serio, ma tutt’altro che serioso.
Con un occhio di riguardo all’attualità, anche noi siamo stati travolti dal volgere degli eventi. Il sopraggiungere del Covid-19 e delle sue innumerevoli implicazioni, non solo umane, sociali e politiche ma anche economiche ha coinvolto la nostra programmazione editoriale.
In questo caso ci sembra doveroso affrontare un tema pratico che non finanziario. Scriviamo su un argomento riguardante più “la vita” che “la Borsa”. Il crollo del prezzo del petrolio.
Trascurando discorsi d’ordine ecologico o di ecosostenibilità (Greta non ce ne volere), è innegabile quanto il greggio abbia assunto il valore di un bene primario, ovvero indispensabile negli innumerevoli processi produttivi d’epoca moderna. Basti pensare ai suoi derivati come benzina o il GPL, gli oli, la plastica o i composti per l’asfalto, ecc. Ma cosa è accaduto?
Sintesi brutale: l’emergenza Coronavirus ha, di fatto, bloccato il mondo. Intere catene produttive sono ferme e, con esse, anche l’estrazione del greggio. Si è reso necessario lo smaltimento delle scorte già estratte e stoccate, con un’incidenza sui relativi contratti a scadenza mensile.
Lunedì 20 aprile scorso, abbiamo assistito al picco minimo del prezzo del barile, crollato in media intorno ai 5-10 dollari; ma quello che colpisce maggiormente è l’espansione di aree in cui tale costo è addirittura negativo, sino a toccare punte dei -40 dollari. Perché?
Ci sono così tanti barili di greggio già estratto che iniziano a scarseggiare i luoghi preposti al loro stoccaggio, i quali hanno degli onerosi costi di mantenimento. Vi accennavamo ai contratti degli investitori in questo ambito. Essi sono mensili, alla loro scadenza si ricevono un “tot” numero di barili (già acquistati). A causa della scarsa richiesta dovuta ad un’economia in lockdown da emergenza pandemica, gli investitori sono disposti a liberarsi di questi contratti, con prezzi sempre inferiori, sino ad arrivare a regalare e pagare chiunque sia disposto a mantenere quei barili, ora divenuti ingombranti. Prospettive?
Difficile ipotizzare uno scenario possibile. Dovremo attendere almeno fine maggio per avanzare delle ipotesi vagamente credibili. Di certo possiamo inquadrare una “forbice” di possibilità. La prospettiva apocalittica avverrebbe nel caso in cui il lockdown si dovesse estendere per un periodo indefinito di tempo, rendendo la benzina un bene ormai in disuso e rivoluzionando in maniera irreversibile le fasi produttive, l’economia ma soprattutto il vivere quotidiano. Assisteremmo a quello di cui vi accennavamo in un nostro precedente articolo, il cosiddetto “Black Swan”, ora macchiato di catrame. Agli antipodi c’è lo scenario della scoperta immediata di una cura ed il rapido ritorno alla normalità, compreso l’utilizzo e la progressiva estrazione del petrolio. La verità, con tutta probabilità, starà nel mezzo. Ne riparleremo…
Noi, intanto, ci auguriamo che quel cigno possa tornare a librarsi in volo quanto prima.