(di Donato Rossiello, Nico Fano)
A cadenza fissa tornano preponderanti le voci secondo cui l’Italia, col suo debito pubblico, possa subire un declassamento di valutazione da parte delle tanto vituperate agenzie di rating. Venerdì 19 maggio era previsto il giudizio della Moody’s Investors Service. Tralasciamone per un attimo l’esito…
Moody’s aveva anticipato da tempo l’evenienza di bocciare sotto la soglia di investiment grade (ovvero indicatori che stabiliscono la qualità e l’affidabilità degli strumenti finanziari) i titoli di Stato italiani, rendendoli di fatto junk bond (titoli spazzatura). Con tutta una serie di implicazioni; di natura tecnica, esistendo fondi obbligazionari che investono ad esempio solo in titoli di pregio e in caso di declassamento si dovrebbe provvedere alla rimozione del “rifiuto” dal proprio portafoglio. È altresì vera la tendenza a non basarsi in via esclusiva al giudizio di un’unica agenzia ma a quello di due o più per una migliore visione di insieme. Inoltre il sistema bancario per ottenere dei finanziamenti dalla Banca Centrale Europea deve fornire dei collaterali (ovvero titoli di Stato che rispettino degli standard) e la BCE monitora con costanza ben quattro società di rating. Retrocedendo per una, resterebbero altre tre a considerare il pacchetto italiano sopra il livello da scartare. Semmai dovesse accadere quanto temuto gli impatti tecnici sarebbero piuttosto limitati.
Le agenzie di rating ponderano sì sul nostro elevato debito pubblico ma soprattutto sul fatto che i rendimenti italiani siano saliti in maniera esponenziale (basti pensare che fino a due anni fa i BTP erano sotto il 2% al decennale, oggi sopra al 4%), di conseguenza aumentano i costi degli interessi (ora intorno ai 70 miliardi), quindi gli oneri, i rischi. Il dato positivo del PIL (migliore persino di altri Paesi europei) viene attanagliato dal pesante rapporto debito/PIL e mancano in prospettiva dei radicali piani di rientro dello stesso.
Dal punto di vista generale dei mercati un eventuale giudizio negativo potrebbe indurre qualcuno a liberarsi dei titoli di Stato, facendo dilatare i rendimenti. E poiché le banche compongono gran parte dell’indice FTSE MIB, nel breve periodo si avrebbe un qualche contraccolpo su Piazza Affari.
Alla fine, come si è pronunciata Moody’s? Il nostro rating non è stato aggiornato, restando pari a “Baa3” con outlook negativo.
Fughiamo inoltre ogni preconcetto per cui i titoli di Stato siano sicuri, poiché garantiti appunto dallo Stato. Troppi investitori, sia privati che istituzionali, sembrano dare per scontato che non si possano subire perdite. O che le ipotesi di default siano remote o ininfluenti. Eppure nella storia (dal IV secolo a.C. ad oggi) di insolvenze nazionali se ne contano circa 383!
Non possiamo che concludere con una provocazione satirica: «Quis custodiet ipsos custodes?»