Abbiamo celebrato due
giorni fa la Giornata della Memoria, l’anniversario dell’arrivo dell’esercito
sovietico nel campo di concentramento di Auschwitz. 72 anni sono passati da
quando quell’orrore è stato mostrato al mondo. La data del 27 gennaio è stata
scelta come simbolo della memoria di quel che purtroppo è avvenuto, del male
che Auschwitz ha rappresentato.
Ma forse, prima che
ricordarlo, affinché non si ripeta, quel male va compreso, al fine di poterlo
combattere meglio.
Mi è capitato di leggere,
qualche tempo fa, il dibattito scaturito in Germania dall’arrivo in edicola del Mein Kampf, il libro in cui Adolf Hitler raccontava, mentre era detenuto nel
carcere di Landsberg Am Lech, la sua battaglia (“La mia battaglia” è la
traduzione del titolo tedesco). Una sorta di Bibbia del nazionalsocialismo che
narra la storia della nascita del partito e il programma che avrebbe purtroppo
attuato una volta salito al potere. La pubblicazione era da molti ritenuta
inopportuna. Tesi su cui non sono mai stato d’accordo. Anzi, credo sia la
miglior lettura che si possa fare per ricordare e comprendere quanto è successo.
Io l’ho letto. Mosso dalla curiosità di comprendere meglio, lo acquistai, trovando, in un mercatino, una
copia edita nel ’92 da “Il Lumino”. Un’edizione pessima, piena di errori di
battitura, difficile persino da leggere in luogo pubblico senza creare imbarazzo,
avendo una svastica e un ritratto di Hitler in copertina. Soprassedendo su questi
inconvenienti e tralasciando le parti in cui l’autore enuncia
folli teorie su cui nessun essere sano di mente concorderebbe, il pensiero che
balzò nella mia mente fu: «Questi discorsi non sono affatto diversi da quanto
urlato spesso ai tempi odierni da mondo politico e semplici cittadini. Su
alcune cose mi è anche capitato di trovarmi d’accordo. Sarò sotto sotto nazista o quei
proclami urlati violentemente nelle taverne tedesche, come racconta il volume, avevano
un qualche fondo di verità?».
Già, si parla sempre dei
nazisti quasi fossero dei pazzi sanguinari, dei mostri, esseri malvagi quasi non
umani, venuti chissà da dove e saliti al potere chissà come. Molto raramente si
riflette sul perché quel movimento così estremo e radicale ha avuto tanto
seguito.
Come recita un famoso
detto, la strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni. E anche nel
movimento nazionalsocialista buone intenzioni ve n’erano. Non fraintendetemi.
Non è mio interesse difendere le tesi sostenute in quel libro. Assolutamente. Ma è innegabile
che quella nazionalsocialista fu una risposta ai problemi che stava
attraversando la Germania dell’epoca. Risposta provocata anche dall’arroganza
inglese e francese che, pretendendo troppo come debiti di guerra per la prima
guerra mondiale, umiliarono un popolo già reduce da una disastrosa sconfitta
militare, che attraversava un’incerta transizione politica, dopo la sconfitta
dei grandi imperi avvenuta con il conflitto del ’14-’18.
La debolezza del governo parlamentare
che negli anni venti amministrò la Germania provocò una risposta violenta, un
malcontento che fu cavalcato da Hitler e dai suoi uomini. Non è dunque
la sete di sangue di assassini psicopatici a portare il nazismo al potere, ma
la voglia di fare del bene alla Germania, la voglia di vederla risorgere dalle
rovine della guerra, la voglia di garantire ai tedeschi un futuro prospero.
Buone intenzioni, appunto. Le stesse che, come ho anticipato citando il famoso
detto, fanno da pavimentazione alla strada per l’inferno.
Intenzioni apparentemente normali
(ripeto, tralasciando le parti chiaramente frutto di follia). Ed è proprio
questa la cosa inquietante. La normalità alla base di molte rivendicazioni. Quando
il popolo tedesco ha appoggiato il nazismo, non era in preda ad isteria
collettiva quasi fosse un romanzo di Stephen King. Voleva solo un futuro
prospero per sé stessi e per il proprio paese. E questo è normale. La risposta,
la ricetta per ottenere tutto ciò, fu sbagliata, senza ombra di dubbio, ma i
tedeschi se ne accorsero quando ormai era troppo tardi.
Se persino io, lontanissimo da quelle idee, ho potuto concordare su alcune cose, significa che quei proclami non erano e non sono poi
così tanto alieni dalla realtà. Significa che anche in me, come in tutti noi c’è
quella voglia di risposte di cui si nutrì il nazismo. Risposte magari facili a
problemi che facili non sono, invocate a gran voce anche da tanti populusti odierni.
Quando imputiamo ad un’intera
etnia crimini di un singolo individuo, quando invochiamo l’uomo forte al potere, quando facciamo di tutta l’erba un fascio
parlando di politici o di qualsiasi categoria umana, quando discriminiamo
qualcuno per qualsiasi motivo, quando ci lasciamo andare sui social network a
commenti per nulla edificanti, quando invochiamo bombe nucleari su parlamento,
paesi islamici o su qualsiasi cosa che non ci sta a genio, quando commentiamo “meno uno” al venir meno di qualcuno appartenente a categorie odiate, in primis politici e immigrati.
Riflettiamo, dunque. Perché
quella malvagità che ha portato agli anni bui del nazismo non è estranea, ma è
per natura parte di noi.
Riflettiamo, perché quelle rivendicazioni all’apparenza normali furono la premessa per la catastrofe che noi tutti conosciamo.