Anni Sessanta, il boom economico, le automobili e le lambrette, le valigie di cartone per finire in fabbrica e sperare di cambiare le cose. Qui, a scandire i giorni, ancora trattori, carri e polverose strade.
Nelle sere d’estate, la luce della luna dolce interlude fra i rami dei lecci austeri sulla grande piazza di Mariotto, frazione di Bitonto, landa obliata del Tacco d’Italia. Un nugolo di ragazzini, scalzi e felici, insegue un pallone di stracci e sogni. “Vedevo i miei tornare ogni sera con la schiena spezzata dalla fatica nei campi e giuravo a me stesso che li avrei tirati fuori di lì“, sospira ancora oggi Lorenzo Iuso, 72 primavere sulle ampie spalle, dipendente del comune di Vasto ormai in pensione.
E si rivede fanciullo stellante correre a perdifiato da difensore asprigno e insuperabile. Non poteva non notarlo un uomo con l’occhio lungo e il cuore grande: “Era un signore, vero mito per noi, si chiamava Damiano Pasculli, sapeva tutto della nostra storia e ci curava come fossero figli, ricordo i versi di Dante (la terzina più celebre dell’orazion picciola di Ulisse, oh quanti segni del destino, ndr) dietro il mio primo tesserino dell’Ardita, della quale era presidente, allenatore e persino cuoco, sì, lui stabiliva persino la nostra dieta. Quante partite, quante battaglie su quei campi bruciati dal sole“.
Fino a quando, durante una “canicola” a Terlizzi con la Modugnese, non lo mira un osservatore della Fiorentina, la prestogiosa società viola, che ha sempre vantato un settore giovanile di gran pregio: “Siccome ero già abbastanza strutturato, nonostante la giovane età, l’allenatore mi suggerì di uscire per ultimo dallo spogliatoio così avrei colpito gli spettatori. Ed ebbe ragione“.
Una gloria del Bari, Mario Mazzoni, lo prende sotto la sua ala protettiva e gli fa fare tutta la trafila nel vivaio della Viola, fino alle finali del campionato Primavera e al Mondiale dei giovani di Viareggio: “Dove fummo eliminati agli ottavi dallo straordinario Benfica dell’epoca. In settimana, tuttavia, ero quasi sempre cooptato in prima squadra e marcavo tutti quelli che poi sarebbero diventati campioni d’Italia nel ’68-’69 con Bruno Pesaola in panchina, marcavo Merlo (in una foto, tiene d’occhio il genialoide imprevedibile Amarildo, ndr), ma pure loro erano intimoriti dalla mia presenza, perché sono stato uno dei primi terzini fluidificanti, in quanto ero una saetta, “d’acciaio” mi definì un giornale“, si inorgiglisce a giusta ragione Iuso. Anche se non esordirà in serie A, darà il suo prezioso contributo alla vittoria dello scudetto.
“L’estate successiva, mi volevano tante grandi squadre, Napoli, Inter, Lanerossi Vicenza, ma Montanari, lo storico direttore sportivo del Bologna, che non mi conosceva, mi lasciò andare“. Teramo, Monopoli e Vasto, le tappe del suo girovagare pedatorio. Fino al giorno maledetto dell’infortunio: carriera spezzata a 27 anni, salta il ginocchio nel fiore della maturazione d’atleta: “Ma non rimpiango nulla, ho fatto la mia strada. Oggi alleno i più piccoli e posso dire di aver allevato tanti giovani e visto crescere intorno a me tante famiglie qui a Vasto, orovavfo ad inseggare valori morali più che altro. Sono davvero felice così. Ancora oggi, quando vado al Franchi, i tifosi gigliati mi riconoscono e mi dicono: “Non potevi stare tu al posto di Odriozola?”. Un segno di ammirazione, per me. E quanti amici ho nel mondo del calcio, primo fra tutti Bruno Virga, quasi un fratello per me, i compagni dell’età fiorentina come Raffaello Vernacchia, Emiliano Macchi, Roberto Parlanti, Ennio Pellegrini, ma pure tutti quelli della mia generazione come Oscar Damiani, il compianto Mauro Bellugi, Paolo Pulici, Gigi Del Neri, Roberto Bettega, Peppino Pavone e Silvano Villa“, snocciola nomi che hanno fatto la storia della pedata italica, Lorenzo Iuso da Mariotto (“non scendo da quasi trent’anni“, si ingroppisce la voce, forse è un pizzico di nostalgia) col candore di chi è stato protagonista di un romanzo popolare e fascinoso con antica semplicità, restando umile e grande al contempo.