L’ex sindaco Nicola Pice ricorda, in un post meraviglioso, la figura eccelsa del Maestro Francesco Lisi, venuto a mancare qualche giorno fa.
Leggiamo.
“La tradizione dei maestri scalpellini è stata un tempo vanto di questa città. Molti di essi venivano da una formazione ricevuta nella gloriosa Scuola Comunale di disegno lì dove avevano appreso lo studio di Disegno Geometrico, a mano libera, e lo studio della figura. Era in questa scuola che si approfondiva anche l’arte dello scalpello da tradurre in opere scultoree che esprimevano il sapore del vivo.
Era stato lo Spinelli il convinto assertore della creatività del disegno anche nel campo delle Arti applicate. “Perché deve bandirsi dalla scuola degli artigiani la figura? – diceva egli – non è forse la figura dell’uomo la più bella, la più perfetta fra le cose create e per la forma e per l’armonia delle parti tra loro e delle parti col tutto e per il sentimento che traspare dai suoi atteggiamenti? Voi dite che l’insegnamento del disegno agli artigiani deve circoscriversi nella cerchia dei mestieri. Ma sapete voi se sotto qualcuno di quei ruvidi panni non batte il cuore di un artista? sapete voi se in qualcuna di quelle fronti giovanili non arde la fiamma del genio? E perché chiudergli l’orizzonte? Perché non addestrarlo al volo?”.
E in effetti, Spinelli riuscì a forgiare una generazione nuova di capimastri e lapicidi invidiata da tutta la provincia e la regione e richiesta da molte altre regioni italiane e da stati esteri come la Turchia, l’Austria e soprattutto la Germania. Ultimo erede di questa antica tradizione è stato Francesco Lisi, un vero maestro scalpellino decoratore, un vero artista.
Tra lui e la pietra c’era una recondita intesa fatta di carezze e di sacro amore, un amore che si manifestava sotto il freddo pungente o l’aria afosa in una baracca di via Traiana. Lì ti inventava una testata d’angolo, un capitello, un motivo ornamentale, lavorando a mano la “pietra livida”, dal colore tra il verdastro ed il grigio che assumeva una volta levigata, o la “pietra da taglio” di colore biancastro.
Ciccio aveva pure lavorato come provetto restauratore presso le Sovrintendenze ai Beni Architettonici della Puglia e della Calabria. Abile nell’arte dell’intaglio e nello smussare a colpi di scalpello la pietra, la lavorava con il cuore, con la fantasia e con amore. Dotato di grande spirito di osservazione e conoscitore delle proprietà della pietra, spesso si compiaceva di dare sfoggio agli amici del Centro Ricerche di tale conoscenza. Lo faceva con rara competenza e non poche volte con spirito di autoironia.
Ma i suoi occhi brillavano di luce quando ti spiegava le forme e la natura della pietra delle grandi opere scultoree, altari barocchi, sculture romaniche, testate d’angolo, capitelli corinzi, pigne artistiche con il loro aspetto armonico slanciate verso un cielo blu“.