Plurimi messaggi
più o meno veritieri sul caso cosiddetto Devanna sono stati i protagonisti del
primo mese del 2017, in quanto postati sulla pagina virtuale di Facebook, alla
mercé di chiunque accedesse al modaiolo luogo aperto al variegato pubblico.
In breve, la
vicenda discussa trae origine dalla proposta di prelazione, da parte del Segretariato
Regionale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, sugli
immobili storici di Via Gian Donato Rogadeo ove è esposta la meravigliosa collezione di opere d’arte di proprietà
dei signori Girolamo e Rosaria Devanna.
In proposito, l’Amministrazione
comunale ha ritenuto che non si potessero acquistare in via di prelazione, in
considerazione di vincoli normativi e finanziari su cui – a onor del vero – è
opportuno far chiarezza: il che, comunque, non ha mutato lo stato dei luoghi
dell’amata galleria che non si muoverà dalla città.
Anzi, i privati che hanno
acquistato i due locali del Palazzo
Sylos-Calò hanno manifestato la volontà di collaborare per la
valorizzazione culturale del bene. Pertanto i locali restano privati ma saranno
utilizzati per scopi pubblici.
Giuridicamente il
caso della Galleria Devanna involge la specifica tematica della alienazione di
beni di rilievo storico artistico. La disciplina è interamente contenuta nel
D.Lgs. 22 gennaio 2004 n. 42 “Codice dei beni culturali e del paesaggio” (articoli
53-62). Nella sostanza, gli atti che
trasferiscono la proprietà di beni culturali vengono tempestivamente denunciati
al Ministero, dimodochéil Comune interessato abbia lafacoltà di acquistare in via di prelazione
detti beni già alienati a privati a titolo oneroso. Tale procedimento di
prelazione deve peraltro essere assolutamente motivato: il
generico riferimento del Comune all’intenzione di destinare l’immobile “a
contenitore culturale” non soddisfa il requisito previsto dalla legge, perché
non indica una specifica finalità di valorizzazione culturale.
Si tratta, al
contrario, di una espressione generica e astratta, compatibile con una
pluralità di utilizzazioni. Detta formula, quindi, contrariamente a quanto la
legge prescrive, non è in grado di dare atto di quella che sarà la finalità di
valorizzazione culturale in nome della quale viene sacrificato il diritto del
privato. Ad ogni modo le operazioni di acquisto in questione hanno dei
limiti di indispensabilità e indilazionabilità, i quali devono assolutamente
essere documentati e motivati, alla stregua del D.M. 14 febbraio 2014
recante le “Modalità di documentazione dell’indispensabilità e
dell’indilazionabilità delle operazioni di acquisto di immobili, ai sensi dell’art.
12, comma 1-bis, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98(“Disposizioni
urgenti per la stabilizzazione finanziaria”), convertito, con modificazioni, dalla legge
15 luglio 2011, n. 111”, e della successiva Circolare n.19 del 2014 del
Ministero dell’ Economia e delle Finanze contenente le relative istruzioni
operative tassative.
Specificamente in merito al requisito dell’indispensabilità,
la legge chiarisce che lo stesso attiene all’assoluta necessità di procedere
all’acquisto di immobili in ragione di un obbligo giuridico incombente
all’amministrazione nel perseguimento delle proprie finalità istituzionali
ovvero nel concorso a soddisfare interessi pubblici generali meritevoli di
intensa tutela.Quanto all’indilazionabilità, l’attestazione deve
comprovare che l’amministrazione si trovi effettivamente nell’impossibilità di
differire l’acquisto, se non a rischio di compromettere il raggiungimento
degli obiettivi istituzionali o di incorrere in possibili sanzioni.
Dunque, in
conformità alla legge, l’acquisto dei locali in discorso, che non soddisfaceva
i requisiti di indispensabilità e indilazionabilità, non poteva di fatto
rientrare in un programma di investimento dell’ente comunale.
Nella prospettiva
di quanto focalizzato sembra allora valido l’ammonimento che l’ondata “social” –
se va anche approvata – non può e non deve distruggere capziosamente l’onore
del patrimonio cittadino, un vero e proprio capitolo della
storia di Bitonto…