Il Junior Faculty Development program of the Exaf (Excellence in Africa), iniziativa lanciata congiuntamente dal Mohammed VI Polytechnic University (UM6P) in Marocco e dall’Ècole Polytechnique Fèdèrale de Lousanne (EPFL), in Svizzera, ha annunciato i nomi dei membri dei sei team che vi prenderanno parte. Team che si occuperanno dello sviluppo di progetti volti a favorire la ricerca di risposte a problemi quali la ricerca di fonti energetiche pulite e sostenibili, il riscaldamento globale, l’efficientamento energetico. E punta anche a promuovere la ricerca nel campo sanitario, nel settore delle neuroscienze e nello sviluppo di tecnologie che possano aiutare a colmare i gap strutturali di cui soffre, purtroppo, l’Africa in vari settori.
Excellence in Africa mira a promuovere la ricerca scientifica sul continente africano, la collaborazione tra le diverse istituzioni del settore, per costruire un terreno fertile e solido per l’innovazione, attraverso la cooperazione tra le varie istituzioni scientifiche del continente e con ricercatori provenienti da altri continenti. E punta a favorire la trasformazione digitale dell’Africa. Il fine ultimo, dunque, sarà di supportare la formazione di ricercatori locali affinchè possano portare un significativo impatto economico e sociale in modo da ridurre i gap che gravano sul continente.
Il programma finanzierà progetti per un periodo che andrà dai 4 ai 5 anni.
Tra i ricercatori coinvolti nell’iniziativa c’è anche il bitontino Francesco Stellacci, dell’istituto svizzero, che, insieme al professor Sabastine Ezugwu dell’università nigeriana di Nsukka (UNN) e alla ricercatrice spagnola Anna Fontcuberta i Morral, si occuperà dello studio e dello sviluppo di tecnologie volte alla realizzazione di mietitrici ibride ad energia solare, che sfruttino nanotecnologie in grado di rendere le celle solari più economiche e più efficienti, nell’idea che l’energia solare sia la chiave per risolvere le crisi energetiche dei paesi africani.
Tra gli altri progetti, la ricerca di cure al morbo di Parkinson attraverso lo studio del veleno degli animali e lo studio di piante africane finora poco utilizzate e scarti agricoli, per la produzione di biocarburanti.