Comune di Bitonto, Monastero delle Vergini, Parrocchia Cattedrale e Confraternita di San Michele insieme per Ecce Homo, doppio appuntamento con l’arte e la musica sacra, che rappresenta un’ulteriore occasione per accendere le luci sulla centralità e l’importanza strategica del patrimonio immateriale dei riti della Settimana Santa a Bitonto.
Il programma del doppio evento si presenta davvero suggestivo.
Lunedì 3 aprile alle ore 18.30 in Cattedrale si potrà assistere allo scoprimento dell’Ecce Homo, la statua lignea del Seicento conservata nel Monastero delle Vergini, utilizzata per le sacre rappresentazioni: il Cristo snodato, attribuito allo scultore altamurano Filippo Altieri, autore della statua lignea dell’Immacolata, Patrona di Bitonto, era utilizzato per la messa in scena e la rievocazione dei momenti cruciali della passione di Cristo.
A seguire, il concerto di musica sacra corale con l’esecuzione di tre brani per soli, coro e organo: Canto della Desolata (Daniele Cepollaro – Domenico Danza), Via Crucis (Daniele Cepollaro – Domenico Danza) e Cantico delle Creature (Maria Carmela Panebianco). Il coro Consonare Ensemble sarà diretto dal maestro Luigi Leo, mentre la parte musicale sarà curata all’organo da Adriana De Serio e al flauto da Vincenzo Mastropirro.
Scoprimento della statua lignea e concerto saranno introdotti dagli interventi del sindaco di Bitonto Francesco Paolo Ricci, del parroco della Cattedrale don Marino Cutrone e dello studioso e storico Nicola Pice.
La scultura rimarrà esposta al pubblico in Cattedrale sino al 5 aprile.
Il secondo appuntamento è programmato alle ore 20 del 6 aprile (Giovedì Santo) alle ore 20 nella Chiesa di San Michele. L’esposizione della scultura lignea “Ecce Homo” che ricorda la cattura di Cristo e la sua successiva crocifissione, sarà affiancata dal concerto Hic et Hunc: Elegie musicali con il quartetto strumentale composto da Vincenzo Mastropirro (flauti), Giuseppe Todisco (flicorno), Paolo Luiso (pianoforte) e Antonello Losacco (contrabbasso).
Sarà possibile ammirare l’inedita scultura sino alla mezzanotte.
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Note sulla scultura lignea Ecce Homo (sec. XVII) e sul concerto in Cattedrale
(a cura del prof. Nicola Pice)
La statua lignea seicentesca dell’Ecce Homo
Antichi Cristi lignei snodati sono conservati a Bitonto nelle chiese di Santa Lucia, di san Francesco della scarpa, del Carmine e del Purgatorio, tutti riposti nella nicchia ricavata nel paliotto di un altare. Piuttosto sorprendente e di notevole pregio artistico è quello che l’amorevole cura delle monache benedettine delle Vergini custodisce in una teca collocata nella parte soprana del monastero: seduto su una sedia e con una corona di spine poggiata sul capo, il corpo del Cristo ligneo, realizzato nella seconda metà del XVII secolo e lungo circa 2 metri, è trasversalmente avvolto da una tunica rossa, con un volto ovale che trasmette un sentimento di indicibile mestizia. Molto verosimilmente con questa scultura si praticava il rito dell’entierro ovvero della sepoltura del Cristo appena schiodato dalla croce. Questo termine spagnolo indicava una particolare processione con il Cristo morto, molto diffusa nel tempo della Controriforma ad opera dei Gesuiti. Non si può dire con certezza se essa sia derivata dall’usanza delle Carmelitane scalze di Madrid, che alla metà del Cinquecento praticavano una liturgia di reposizione di un’ostia quale atto simbolico della sepoltura di Cristo, oppure se essa vada ricondotta ai frati francescani che solennizzavano il culto della devozione al santo sepolcro. L’interesse per questa scultura delle Vergini è davvero notevole almeno per due ragioni. Innanzitutto, per il suo pregio artistico. Difatti la scultura, intagliata con grande accuratezza, a parte il ricercato tono pietistico, rivela un forte realismo della composizione: un’accentuata carica espressiva del volto rigato di sangue, i lineamenti contratti, un fine intaglio dei capelli aperti a ventaglio e della barba bipartita, i segni dei chiodi conficcati alle mani e ai piedi, il fiotto di sangue sgorgante dalla ferita al costato, il capo appena inclinato a sinistra, la fissità dello sguardo segnato dagli occhi sgranati. Tutto ciò dice la sicura maestria del suo autore oltremodo capace di esprimere il pathos drammatico del Christus patiens. In secondo luogo, questa figurazione apre non pochi spiragli sulla ritualità e sul teatro paraliturgico seicentesco. Una voce narrante evocava la memoria dei momenti cruciali della passione di Cristo, facendoli ripercorrere come stazioni di una ideale via Crucis. Questo Cristo ha difatti molti snodi (ai gomiti, alle caviglie, ai polsi, alle scapole e alle ginocchia) e quindi permetteva alle monache di adattare la statua per la flagellazione, l’Ecce Homo, il caricamento della croce, l’agonia sul Golgota: così le vergini claustrali si incentravano sulla meditazione intorno ai misteri della passione di Cristo.
Il concerto in Cattedrale
Scritto dal vescovo Berardi nel 1910 e musicato dal canonico Daniele Cepollaro con fluidezza melodica e ponderata armonia, il Canto della Desolata è composto da quattro sestine di ottonari. Il canto sembra a tutti gli effetti una “lauda drammatica” con sequenze sceniche a voci solistiche. Una voce evoca il volto della Madre che, da bello come una rosa, d’un tratto ha perso ogni splendore al pari d’un fiore reciso. Le fa eco una seconda voce come di persona che vede la Madre ripensare muta ai tormenti del Figlio, mentre una lacrima scende dal suo ciglio e una spada le trapassa il cuore: a quella vista sommessa si leva la voce come di nenia per la Madre santa desolata da tutti abbandonata. Una terza voce invita il mesto passante a levare un canto che dica come nessuna altra donna somigli nel dolore alla figlia di Sion, la madre del Signore: immenso il suo dolore come immenso il mare. La stessa Maria interviene, rivolgendosi al passante, perché rifletta se altra donna ha subito lo stesso suo tormento e freni il proprio pianto. E il canto si chiude con la ripresa del distico leit-motiv, la stessa nenia dall’identica formula verbale e melodica, come quel canto che le donne dell’antichità al suono del flauto intonavano nel corteo funebre. L’esecuzione della flebile melodia viene riproposta nel concerto, nella forma della lauda drammatica musicata dal maestro Domenico Danza su variazione del tema musicale di Cepollaro.
Le quattordici strofe della Via Crucis sono cantate ogni domenica sera di quaresima durante il rito della via Crucis nella chiesa di san Michele, nel rispetto di un’antica tradizione che la omonima confraternita tiene ancora viva. Sono versi disposti in strofe di due quartine in metro settenario, composti nel Settecento da Pietro Metastasio. Le strofe hanno conosciuto molteplici adattamenti musicali, tra cui questa, messa in musica dal canonico Daniele Cepollaro, lo stesso musicista del canto della Desolata, composto in ottonari dal vescovo Berardi. L’esecuzione di questa Via Crucis durante le domeniche di quaresima si affida alla valentia di Tina Masciale e del suo gruppo corale, non senza il responsorio della tantissima gente che affolla la chiesa di san Michele. L’esecuzione che si propone in Cattedrale è una variazione sul tema musicale di Cepollaro realizzata da Domenico Danza. È una trenodia che si colora di vivide suggestioni per l’evidente impatto emotivo che produce.
Il Cantico delle Creature per coro misto e pianoforte è una ardita composizione di Maria Carmela Panebianco. I versetti del Cantico di san Francesco, teso a esaltare la bellezza del creato in quanto significazione di Dio stesso, si ammantano di voci soliste e corali di luminosa chiarezza sostenute dagli ineffabili suoni dell’organo e del flauto. In fondo il Cantico delle Creature è un cantico pasquale, e tale lo sentiva Maria Carmela, un cantico in cui nella notte della tentazione e della sofferenza si fa presente la luminosità del Signore Risorto che dissipa tutte le tenebre. Le dolci parole del Cantico si avvolgono di un tessuto musicale trasparente e lirico, sicché l’ascolto produce grande emozione per le sfumature colorate delle voci e il delicato modulo musicale strutturato di suoni pieni di incanto.