Un altro grido d’allarme per il Decreto Sicurezza di Salvini. Arriva questa volta da diverse associazioni, sigle sindacali, ma in particolare da Avviso Pubblico, costola istituzionale dell’associazione antimafia Libera: “C’è il pericolo che i beni confiscati alle mafie possano essere ricomprati da prestanome dei clan. E che quindi, nonostante la confisca, tornino nelle loro disponibilità, invece che nelle mani del sociale”, ha commentato il referente regionale dell’associazione Pietro Fragasso.
Infatti, il Decreto Sicurezza che presto arriverà in Parlamento, prevede l’estensione della vendita dei beni confiscati a soggetti privati. Nel barese, secondo i dati dell’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, ci sono 221 immobili e 43 aziende confiscate gestite dall’Agenzia. Ci sono poi altri 490 beni, 31 aziende, pronte a passare nelle disponibilità delle amministrazioni locali.
In caso di vendita ai privati, verrebbe meno la concertazione tra amministrazioni, forze dell’ordine e associazionismo che è il senso ultimo del riuso sociale di questi beni: “è facile immaginare, grazie alle note capacità delle organizzazioni mafiose di mascherare la loro presenza, chi si farà avanti per comprare ville, case e terreni appartenuti ai boss e che rappresentavano altrettanti simboli del loro potere, costruito con la violenza, il sangue, i soprusi a discapito dei diritti e della dignità delle persone”, scrivono le organizzazioni.
Fortemente critico il vicepresidente nazionale di Avviso Pubblico e componente del nucleo di supporto dell’Agenzia Nazionale, Michele Abbaticchio: “In Puglia la lotta alle mafie si gioca in particolare modo sul loro patrimonio. Grazie ai soldi acquistano il consenso della gente, il loro rispetto, mettono armi nelle mani dei bambini per il traffico di droga e regalano la loro immagine di invulnerabilità. Se togliamo loro le case e poi potranno riacquistarle non solo prenderanno in giro lo Stato, ma dimostreranno che sono più forti ed “affidabili”. E la lezione di Pio La Torre sarebbe stata inutile nei tempi più difficili della nostra democrazia”
La storia. Ventitré anni fa, oltre un milione di cittadini firmarono la petizione che chiedeva al Parlamento di approvare la legge per l’uso sociale dei beni confiscati alle mafie. Un appello raccolto da tutte le forze politiche, che votarono all’unanimità la legge 109/96. Si coronava, così, il sogno di chi, a cominciare da Pio La Torre, aveva pagato con la propria vita l’impegno per sottrarre ai clan le ricchezze accumulate illegalmente. Nel 2012 organizzazioni sindacali e associazioni – Acli, Arci, Articolo 21, Avviso Pubblico, Centro Studi “Pio La Torre”, Cgil, Cisl, Uil, Federazione Nazionale della Stampa Italiana, Legambiente, Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie e Usigrai –, nel segno della continuità di impegno civile e responsabile, si sono rese promotrici del disegno di legge di iniziativa popolare “Io Riattivo il Lavoro”, dalla quale è nato il testo di riforma del Codice Antimafia approvato nel novembre del 2017. Oggi quell’impegno rischia di essere tradito. Insieme con quello profuso quotidianamente dalle forze di polizia e dalla magistratura in materia di sequestri e confische.
Cosa accadrebbe. La vendita di quei beni significherà una cosa soltanto: che lo Stato si arrende di fronte alle difficoltà del loro pieno ed effettivo riutilizzo sociale, come prevede la legge. Ed il ritorno di quei beni – a causa di cautele insufficienti e inadeguate – nelle disponibilità dei clan a cui erano stati sottratti avrà un effetto dirompente sulla stessa credibilità delle Istituzioni. “Per queste ragioni chiediamo al Parlamento che la vendita venga considerata in maniera chiara e inequivocabile una extrema ratio (con procedure e controlli più stringenti) e non una scorciatoia per evitare le criticità che si riscontrano nella destinazione e assegnazione dei beni”.
L’appello. “Chiediamo al Parlamento di rafforzare, piuttosto, l’azione di aggressione ai patrimoni delle mafie e della criminalità economica/finanziaria e di dare concreta attuazione alle norme che stabiliscono la confisca di beni ai corrotti. Non vendiamo quei beni confiscati che creano opportunità e rappresentano il segno del riscatto di un’Italia civile e responsabile, onesta e coraggiosa, come dimostrano le oltre 800 realtà dell’associazionismo, del volontariato e della cooperazione sociale impegnate in tutta Italia nella loro concreta restituzione alla collettività e che hanno saputo superare – assieme ai rappresentanti istituzionali e degli enti locali – quelle criticità che appaiono a volte insormontabili. Chiediamo, infine, un rafforzamento complessivo dell’Agenzia nazionale e che la costituzione dei tavoli provinciali per le aziende sequestrate e confiscate non sia lasciata alla discrezionalità delle Prefetture come invece recita in modo chiaro il testo in vigore del Codice Antimafia. Chiediamo, altresì, che i fondi pubblici per gli investimenti e per l’accesso al credito costituiti nel 2016 siano resi pienamente operativi così come la previsione di risorse dedicate ai progetti di riutilizzo sociale a favore degli Enti pubblici destinatari dei beni e delle associazioni/cooperative assegnatarie. In questo senso si possono utilizzare i proventi delle vendite dei beni, laddove si realizzino seppur in ultima istanza, come previsto dall’emendamento approvato dalla Commissione Affari Costituzionali del Senato per sostenere finanziariamente i Comuni nella loro azione di presa in carico dei beni confiscati. Ma si deve fare molto di più. In particolar modo si possono utilizzare tutte le liquidità già disponibili del Fondo Unico Giustizia e quelle dei programmi nazionali e regionali delle politiche di coesione, inseriti nella Strategia nazionale per la valorizzazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, approvata la scorsa settimana dal Comitato interministeriale per la programmazione economica. Un appello a tutte le forze politiche in Parlamento perché si fermino e ripensino quanto stanno per votare e considerino le proposte che, forti della esperienza accumulata e nello spirito di collaborazione, le scriventi organizzazioni sindacali e associazioni hanno sempre evidenziato. Non possiamo rischiare che il provvedimento si traduca in un ulteriore “regalo” alle mafie”.