Come spesso capita, quando Nicola Pice scrive sulla personale pagina Facebook, lascia il segno.
Al centro della riflessione, questa volta, è la Città Metropolitana, con la sua ombra inquietante protesa sulla nostra città.
Non lo ha convinto lo sgomitare di liste e listarelle per ottenere un posto – ma davvero uno, perché saranno pochissimi – al sole.
La questione è soprattutto identitaria e culturale.
Il prof illustra quel che dovrà essere il nuovo soggetto politico istituzionale e si rifà ad una concezione alta (Aristotele, Platone e Cicerone mescidati in salsa periclea) della Politica, che, ahinoi, vediamo paurosamente latitare negli animi di chi guida il nostro Paese.
Il concetto di “polis”, in effetti, prevede una salutare lungimiranza amministrativa, che non è dote di tutti.
Non c’è parola della disamina di Pice, che non sia condivisibile.
Tuttavia, mi concedo una piccola annotazione.
Bitonto nella Città Metropolitana non doveva entrarci, né ora né mai.
E non è per fare sterile campanilismo.
Lì vi troverà come capoluogo Bari ed il primo cittadino del soggetto neonato sarà appunto il sindaco barese.
E sappiamo quanto nel corso degli anni sia stato forzatamente traslocato da qui a lì fra Diocesi, Ospedale, Tribunale, Ufficio del Registro e del Lavoro, l’Enel…
Se un uomo entra in casa altrui vestito di tutto punto, con la sua storia e le sue tradizioni, verrà fatto sedere al tavolo del salotto e potrà parlare da pari a pari col nuovo interlocutore.
Se un uomo, invece, entra nudo, spogliato di tutto, sarà destinato a fare lo sguattero e ad eseguire i servizi più umili.
Con l’aggravante che a togliergli tutto è stato proprio il vicino che, falsamente caritatevole, non vede l’ora di farlo entrare…
Ma leggiamo il testo firmato dal professor Nicola Pice.
“Punto di domanda.
Ma in una città metropolitana bisognerà sostenere una dimensione “partitica” o una dimensione “politica” di un territorio-paese?
La dimensione di una “polis” con la sua specificità, la sua identità e la sua progettualità (non certo una sua astorica indipendenza) o la rappresentanza di “parti” civiche a quanto pare preoccupate di un riscatto da una condizione di periferizzazione politica e interessate ad un radicamento di un proprio ruolo politico-territoriale?
Ricordo che la 142/90 ha chiaramente indicato che la Città Metropolitana deve essere un insieme socioeconomico omogeneo, che sappia porre in essere pianificazioni e programmazioni ben indirizzate, peraltro riferite ad una realtà che condivida ampiamente esigenze e aspirazioni.
Senza commettere un errore di miopia in un momento che serve una “vista lunga” e senza blandire il politicamente scorretto che può comportare solo rovina.
Allora, perché una maggioranza e una minoranza del nostro Consiglio Comunale non dovrebbero riuscire a definire una visione “comune” ampiamente aggregante e condivisa, unendo intelligenze e competenze?
La “battaglia” non è tra l’essere e il non essere, ma sul come e quale “essere” all’interno di un’area metropolitana (per non diventarne “periferia”).
Naturalmente, soprattutto se uniti, si “è”.
Anche per inverare le parole di Giovanni Paolo II a noi riferite: “Offrite a tutti la testimonianza di una comunità che sa collaborare in spirito di costruttiva e lungimirante concordia; operate con fiducia per lo sviluppo pieno della vostra terra; valorizzate ogni possibilità positiva, superando le difficoltà dell’oggi e del domani”.
E fare attenzione a raccordarsi operativamente con i comuni che fanno parte di uno stesso insieme socioeconomico per le tante loro peculiarità piuttosto che inseguire una rappresentanza di partito o una tutela di movimenti civici”.