I frantoi, (dal latino “trapetum o trapetus”), antiche industrie olearie, col passare del tempo hanno subito un declino inesorabile tale da essere stati completamente abbandonati. Ciascun “trapetum” è costituito da spazi funzionali di notevole interesse architettonico: ambienti di lavoro, di soggiorno, di deposito, dormitorio, cucina e stalla. Questi ambienti, abitati per 5, 6 mesi l’anno, erano privi di luce diretta tranne che per una o due aperture (finestrelle) presenti alle due estremità del frantoio. In questi ambienti il lavoro era assai lungo e faticoso. Si cominciava quasi sempre verso la fine di ottobre e si continuava incessantemente fino a dopo Pasqua. Le olive poste in una vasca venivano pressate da ruote di pietra (macine), fatte girare da animali (muli, buoi, cavalli) bendati. Quando la pasta di olive era pronta veniva inserita nei fiscoli che successivamente venivano affilati su di un torchio azionato dalla forza di 4/5 uomini. Man mano che la pasta oleosa veniva pressata, acqua ed olio che ne fuoriuscivano finivano in dei tini di legno, o pozzatti scavati nella roccia. Dopo aver decantato, l’olio che era in superficie veniva raccolto con molta attenzione (per evitare di rimescolarlo con l’acqua) e versato in barili di legno per il trasporto. Nel 1400 e maggiormente nel 1500 la produzione dell’olio di oliva si estese in tutto il meridione e specialmente in Puglia, dove ancor oggi si possono ammirare bellissimi esemplari di “Trapetum”. Bitonto nel sec. XVIII vantava circa 300 frantoi disseminati nell’agro di cui oggi purtroppo residuano soltanto pochi esemplari, tra cui quello denominato “Trappeto del Capitolo”, ubicato in contrada”Pezza San Marco”. Databile probabilmente al sec. XVI-XVII è situato sull’antica via di “Patierno”, nei pressi dell’antica chiesetta medievale di San Marco (sec. XIV). Composto da un grande ambiente rettangolare voltato a botte, adibito sia a ricovero degli animali da lavoro che per la molitura, dal caratteristico tetto spiovente con copertura a chiancarelle, sottili lamine di pietra, presenta un paramento murario costituito da pietre calcaree appena sbozzate a martello e disposte a filari con i piani di posa paralleli. All’esterno dei questo edificio produttivo si possono ancora osservare resti di macine, cisterne, basi di torchi. Alle due estremità della struttura produttiva si aprono alcune finestrelle, dalle quali era garantita sia l’illuminazione interna sia il riciclo dell’aria. Internamente, lungo le massicce mura si aprono numerosi ed ampi vani nei quali un tempo erano posizionate le presse, un caratteristico focolare, utilizzato per tenere alta la temperatura interna durante le fasi di lavorazione, un pozzo con sottostante piccola “pescara”. Nelle adiacenze del “Trappeto”, oltre ad una capiente cisterna (pescara), sorge la chiesetta di San Marco, databile al XII secolo, come lascia supporre la somiglianza della facciata con quella della chiesa di San Michele in Frangesto in agro di Monopoli edificata nel medesimo secolo. Ad aula unica, con volta a botte, presenta un’abside di piccole dimensioni in fondo e una muratura in conci appena sbozzati. Nel corso dei secoli ha subito diversi rimaneggiamenti che l’hanno alquanto deturpata stravolgendone la struttura originaria. Oggi appare piuttosto tozza e disadorna, ingentilita solo dal campaniletto a vela, aggiunto in epoca successiva (probabile nel Settecento), in asse con la porta d’ingresso. Dalla documentazione a noi giunta sappiamo che nel 1476 era rettore della chiesa don Andrea di Leone di Pietro, mentre nel 1487 viene citata in un atto notarile. Nel Cinquecento era beneficio dell’abate Antonio Amistà (1549).
Attualmente di proprietà dell’imprenditore Pino Rizzi, grazie ad opportuni e sapienti lavori di restauro e l’aggiunta di una rilassante piscina, l’antica struttura produttiva si è trasformata in una grande ed accogliente residenza per eventi, cerimonie e turismo rurale. Una vera meraviglia. Da visitare assolutamente!