“Ero nel supermercato, abbiamo sentito le sirene delle ambulanze, poi quelle della polizia. All’inizio pensavamo ad un malore, magari la polizia aveva fatto strada ai soccorsi. Invece no: appena un piede fuori dal negozio la gente ha cominciato a raccontare ‘ionn spareut a cur d sìus’. Le cassiere hanno aperto tutte le porte, spaventate, ed è calato il gelo”.
È il racconto di un giovane che si è trovato nel più frequentato supermercato di via Repubblica, sito accanto alla palazzina dove, ieri sera, alle 19.30 circa, un commando di almeno cinque persone è entrato a casa di un pregiudicato 39enne ristretto ai domiciliari per tentare di ucciderlo.
È bastato attraversare la strada per ascoltare altre testimonianze.
“Sì, lo vedevamo sempre – dice una donna passando, rivolgendosi ad un’altra -. Quello stava sempre affacciato al balcone. Menomale che sono saliti e non gli hanno sparato mentre stava affacciato! Sennò c’avera scceit?”, dice preoccupata.
Sconvolti gli esercenti dei portici, che con fatica, ogni giorno, alzano la serranda provando a far bene il proprio lavoro custodendo i clienti: “Quest’altra ci mancava”, dice uno laconicamente. Ma ci sono anche gli stranieri che, affacciati vedendo le sirene, hanno chiesto cosa fosse successo non capendo assolutamente come potesse essere accaduta “una cosa così”.
Presto fatto. I ragazzini di 14-15 anni, che solitamente scorrazzano in zona con le bici elettriche, in men che non si dica hanno tirano fuori, nomi, cognomi e alberi genealogici, con tanto di “Si capsciut c ièj?”.
C’era poi una donna, ben vestita, che fermata da alcuni conoscenti ha esordito: “Poi dite, perché te ne sei andata! E ciavera sta a feu dou?”. Ma forse avrebbe dovuto ascoltare le risposte dei politici romani che dicono “Tanto accade ovunque”.
Per finire il quadro non può mancare chi con le buste della spesa tra le mani – quasi le scuote facendo sobbalzare pasta e poche altre cose all’interno -, dice laconicamente: “E c s’acchiev qualchediun?”.
La domanda è sempre la stessa.
Ma noi ne facciamo una, ulteriore.
E tutte le “brave” persone della città, che in questa città si adoperano, lavorano, hanno realtà associative, dove sono?
Perché non si ribellano, perché non ci inviano anche solo una lettera?
Perché non proviamo TUTTI a sentirci meno soli?
Sono gli altri che devono sentirsi una minoranza, non noi.
Non smettiamo di crederci e di combattere.