Xylella. Ne sentiamo parlare da tanto tempo. È da anni che si lancia l’allarme per l’olivicoltura pugliese e, se andando verso sud, dal brindisino verso il Salento, ci si guarda attorno, è possibile osservare distese di ulivi secchi, morti. Un pugno nell’occhio e nell’anima, perché, dal frutto di quegli alberi, lavorano e vivono tanti pugliesi.
Dell’argomento si è parlato nei giorni scorsi durante la festa dell’Unità. Tra gi ospiti, oltre agli onorevoli Dario Stefano (Pd), Giuseppe Labbate (M5s) e al consigliere comunale del Pd Gaetano Bonasia, c’è stato Pierfederico La Notte, ricercatore del Consiglio Nazionale delle Ricerche e dell’Istituto per la Protezione Sostenibile delle Piante (IPSP), da noi intervistato per approfondire meglio un fenomeno che tanto interessa ai tanti che dall’olivicoltura vivono: «La Xylella è un batterio patogeno da quarantena in grado di attaccare le piante colonizzando i vasi xylematici ove scorre la linfa grezza. Le differenti sottospecie, in grado di infettare piante diverse, sono trasmesse da insetti vettori che pungendo per alimentarsi i vasi di piante infette acquisiscono il batterio e lo inoculano in individui sani, causando, sull’olivo, la malattia del Disseccamento Rapido. In Europa la Xylella è arrivata accidentalmente con l’importazione di piante ornamentali dal Centro America, ma solo dal 2013 è stata identificata la sua presenza in Salento, Francia, Spagna, Germania. In Salento esiste un unico ceppo che ha trovato un sensibilissimo ospite (l’ulivo), dei vettori molto efficienti, come la Philaenus spumarius o sputacchina media, e un clima idoneo. L’unica soluzione è la prevenzione. Non esiste metodo o prodotto efficace e sostenibile per eliminare il batterio e curare definitivamente le piante».
«In cinque anni la diffusione è stata enorme. L’ultimo aggiornamento dell’area infetta interessa le provincie di Lecce, Brindisi, dieci Comuni del tarantino e Locorotondo in provincia di Bari. Da 8-9mila ettari stimati nel 2013 a oltre 770mila ettari» continua il ricercatore, spiegando che non ci sono precedenti che permettano di studiare meglio il fenomeno: «Quando un organismo nocivo alieno arriva in un nuovo territorio, con clima, piante ospiti e vettori nuovi, il fenomeno va studiato caso per caso nel dettaglio. Abbiamo però stretto collaborazioni con i più importanti gruppi di ricerca mondiali che ci aiutano con informazioni ed esperienze utilissime».
Il rischio che il batterio avanzi ulteriormente nel barese non è remoto, ma è impossibile da quantificare, dipendendo da tanti fattori imprevedibili: «È triste dirlo, ma i rischi più imprevedibili dipendono dalla capacità di applicare, su un territorio enorme e in modo organizzato, puntuale e tempestivo le misure di contenimento, obbligatorie dal 2015, ma sempre criticate, ostacolate e scarsamente seguite da agricoltori e amministrazioni locali».
Si è spesso parlato di taglio delle piante infette come unica soluzione. Ma non è così, aggiunge: «Il taglio non è assolutamente l’unica soluzione. Questa è un’erronea semplificazione spesso utilizzata strumentalmente. Le velleità di eradicazione sono state abbandonate sin da subito, quando ci si rese conto che era ormai impossibile “eradicare”, ossia eliminare definitivamente, il batterio dalla Puglia. La strategia di contenimento, basata anche su tagli “mirati” e non indiscriminati, si fonda su monitoraggio capillare sul fronte dell’epidemia, lotta ai vettori meccanica e chimica (a mio parere la misura più efficace), eliminazione delle fonti di inoculo, ovvero le piante trovate infette e, solo in area cuscinetto, tutte le piante ospiti nel raggio di 100 metri. Ci sono poi altre misure preventive che riguardano i vivai delle aree demarcate, con pesanti limitazioni e quindi purtroppo anche danni a questa importante attività economica».
Dunque, il taglio è solo una delle misure per arginare la diffusione. Non certo per debellare la Xylella: «Nelle aree infette, il batterio, già individuato in almeno 31 piante ospiti diverse (anche mandorlo, ciliegio e arbusti spontanei), non è più eradicabile. Bisognerà conviverci, trovando sistemi colturali idonei (specie e varietà resistenti). Ma questo è un altro complesso argomento che merita successivi specifici approfondimenti».
Diverse sono state le teorie alternative avanzate sull’origine e sui rimedi. Sin dalla sua apparizione, in molti hanno ipotizzato altre cause. Secondo alcuni, la Xylella non sarebbe la causa del Complesso del Disseccamento Rapido dell’Olivo (CoDiRO), che sarebbe invece provocato da criticità ambientali, desertificazione, inquinamento, uso di pesticidi imposto dalle case farmaceutiche. La Xylella, in sostanza, sarebbe una bufala.
In molti, anche tra politici, cantanti, attori e giornalisti hanno sostenuto che tutto fosse causa di un piano mirato a diffondere olivi Ogm o a vendere pesticidi, o che il batterio fosse stato diffuso di proposito per eliminare gli olivi lungo il passaggio del metanodotto Tap. Contro il taglio degli alberi malati, i contestatori hanno anche bloccato strade e binari dei treni e ricorso al Tar del Lazio contro il Piano Silletti. Anche la magistratura vi ha dato credito, indagando sul commissario Silletti e sugli scienziati che stavano combattendo l’infestazione.
«Non eleviamo a “teorie”, chiacchiere prive di fondamento scientifico, bufale spesso costruite ad arte e ripetute all’infinito fino a divenire “verosimili” agli occhi di chi è poco informato o non ha le basi di conoscenza per comprendere un fenomeno biologico complesso – avverte Lanotte – Se nel 2013, quando le informazioni erano scarse e la ricerca muoveva i primi passi, era plausibile ipotizzare un ruolo di concause come i funghi nella malattia, oggi, esiste un consenso scientifico unanime su tanti aspetti. Continuare a far disinformazione senza dati o prove sperimentali, invocare ancora ricorsi al TAR per ostacolare le misure di contenimento, è solo criminale. La disinformazione organizzata di gruppi pseudo-ambientalisti su posizioni complottiste, negazioniste e antiscientifiche ha creato danni enormi, facilitando l’avanzata indisturbata e rapida dell’epidemia. Ha avviato sospetti e maldicenze da cui è scaturito un insensato intervento della magistratura nel 2015, ha influenzato stampa, politica e opinione pubblica nel creare confusione e nel non prendere decisioni urgenti ed essenziali, ha promosso esposti al TAR e spinto sindaci a ostacolare misure obbligatorie di contenimento. Anche se un po’ tardi, fortunatamente proprio da Bitonto e da rappresentanti del mondo agricolo sono partite le prime iniziative legali contro la disinformazione».
Spesso, infatti, è stata proprio la politica, anche quella regionale, la grande assente, evitando di prendere posizione, di assumere le decisioni giuste al momento giusto. Il governatore Emiliano ha prima seguito gli umori dei critici, contrastando la battaglia contro il diffondersi della malattia, salvo poi sollecitare un intervento forte del Governo per salvare le colture pugliesi.
«Sono un ricercatore. Non è nel mio ruolo entrare nel merito specifico, ma la sensazione che si poteva fare molto meglio è forte. Questa situazione ha in parte vanificato gli sforzi fatti dalle Istituzioni e dai pochi tecnici degli Uffici, sia a livello UE che soprattutto regionale. Qualcosa sembra oggi finalmente cambiato, ma temo manchi ancora la completa consapevolezza dell’urgenza di fermare con ogni mezzo l’epidemia e il conseguente potenziale disastro per l’agricoltura mediterranea».
«Nelle aree indenni della Puglia urge fare corretta informazione, che è certamente la miglior forma di prevenzione – conclude La Notte – Il Comune di Bitonto, nella persona del vicesindaco Rosa Calò, è molto sensibile al tema e ha già avviato concrete attività informative come l’organizzazione di una visita tecnica con produttori bitontini in Salento».