È il condottiero del Bitonto capolista del girone H del campionato di Serie D. Roberto Taurino, classe 1977, salentino di Trepuzzi, alle porte di Lecce, ma ormai brindisino d’adozione, è il timoniere dalla panchina del gruppo neroverde che prova ad inseguire lo storico e straordinario traguardo della conquista della Serie C. Un obiettivo unico nella città dell’olio.
La sosta forzata per la grave emergenza sanitaria che ha colpito il nostro Paese – oggi il calcio è evidentemente in secondo piano rispetto a quanto sta accadendo in tutta Italia e al lavoro di medici, operatori sanitari e forze dell’ordine, impegnati nel salvare vite umane – ha rappresentato l’occasione comunque per fare una chiacchierata con mister Taurino: un’analisi di quanto è stato finora, di cosa sarà, dell’attuale momento e del suo rapporto con la città, a cura del prof. Giuseppe Urbano.
Ciao mister. Innanzitutto, sei a Bitonto o a Brindisi? Come stanno i tuoi cari?
«In questo momento sono a casa, a Brindisi, e come tutti sto rispettando i provvedimenti che il Governo ha imposto agli italiani. Diciamo che sto approfittando della spiacevole situazione per godermi la famiglia, recupero un po’ del tempo sottratto ai miei figli da quando mi sono trasferito a Bitonto. Io e mia moglie siamo in costante contatto telefonico con i nostri genitori, che fortunatamente stanno bene. Cerco quindi di esaltare ogni giorno il lato positivo di tutto ciò: vivere a pieno il nucleo familiare».
Raccontaci un po’ come sono andati i primi, convulsi giorni dopo la diramazione delle prime misure restrittive (ricordiamo che inizialmente non c’era alcun obbligo istituzionale per la sospensione degli allenamenti, ndr). Hai fatto comunque incontrare sul campo i tuoi ragazzi, a campionato fermo, o hai da subito sospeso le sedute?
«Siamo venuti a conoscenza del rinvio della gara Casarano-Bitonto, da disputare l’8 marzo, il giovedì precedente il match ed avevamo pensato di mantenere il programma settimanale organizzando un’amichevole per quella domenica. Poi ci siamo resi conto che la situazione richiedeva maggiore attenzione e cautela, così abbiamo deciso di annullare la partita. In pratica, da sabato 7 marzo abbiamo sospeso le sedute di allenamento in gruppo, i ragazzi stanno però continuando ad allenarsi individualmente, nei limiti delle direttive nazionali».
Senti quotidianamente i ragazzi e gli uomini del tuo staff? Utilizzate anche gruppi WhatsApp per coordinarvi e, soprattutto, aggiornarvi sul vostro stato di salute? Presumiamo tu abbia dato agli atleti delle precise direttive per affrontare al meglio questo lungo periodo di inattività forzata.
«La tecnologia ed i “social” ci aiutano a mantenere un contatto costante tra staff e squadra. I ragazzi stanno tutti bene e stanno svolgendo un preciso programma individualizzato sotto l’attenta e scrupolosa supervisione del preparatore atletico Paolo Rizzo».
Per voi uomini di calcio dev’essere ancora più dura restare a casa, abituati come siete ai vostri ritmi lavorativi ma, secondo te, lo Sport italiano si è fermato in tempo?
«Dover restare a casa senza poter respirare lo spogliatoio, senza poter calpestare l’erbetta, senza poter vivere quell’adrenalinico avvicinamento alla gara è davvero dura, ma assolutamente necessario in questo momento. Non so se lo Sport italiano si sia fermato in tempo, non ho le competenze giuste per giudicare, posso solo fare il mio plauso alla LND che è stata la prima Lega nazionale a fermare i campionati, dimostrando con i fatti che la salute è prioritaria».
Esternaci quali sono le tue sensazioni in merito ad un’eventuale ripresa dei campionati, ovviamente ribadendo come questa sia l’ultima delle preoccupazioni in questo momento. Tuttavia, questa nostra chiacchierata è stata pensata proprio per provare a distrarre e distrarci qualche minuto da quelli che sono i veri problemi attuali dell’Italia, dell’Europa, del Mondo. Secondo la tua opinione, quando e come verrà riorganizzata l’attività agonistica anche in Serie D?
«Non ho idea di quello che sarà il nostro immediato futuro, stiamo vivendo qualcosa di unico che sicuramente troveremo sui libri di Storia… Capisco bene che riorganizzare tutto, adesso, sia molto complicato dal momento che nessuno può prevedere quando effettivamente rientrerà questa emergenza, la speranza è che si possa tornare quanto prima alla normalità per poter disputare le ultime otto gare in calendario».
A proposito di calcio giocato (e da giocare), come hai lasciato la squadra dopo l’1-1 casalingo contro il Brindisi? Vi attendevano la settimana di sosta e l’ostica trasferta di Casarano: ci sarebbe stato da lavorare più sul fisico o sulla testa dei ragazzi?
«Oggi, più che pensare a come ho lasciato la squadra, mi adopero per trovarla al meglio quando riprenderemo… La squadra fisicamente non ha mai avuto problemi, piuttosto nell’ultimo mese di campionato abbiamo avuto qualche acciacco di troppo che ha influito sulla condizione psicofisica di alcuni elementi».
Se potessi tornare indietro, rifaresti le stesse identiche scelte di formazione, e di approccio al match, contro Cerignola, Taranto e Brindisi? Nessuno meglio di te conoscerà mai lo stato psicofisico dei calciatori arruolabili, sia chiaro, ma in quelle settimane in cui hai avuto tanti elementi non al top della forma possiamo immaginare che tu sia stato in un certo senso costretto a trovare il sempre scomodo compromesso fra ricorso al turnover e utilizzo di uomini anche a mezzo servizio o con poche sedute complete d’allenamento nelle gambe.
«Quando arriva un risultato negativo, ogni allenatore vorrebbe tornare indietro e cambiare il corso degli eventi. Troppo facile, troppo comodo. La realtà, invece, è tutt’altra: una formazione è sempre il frutto di scelte, pensieri, sensazioni settimanali; poi, a volte, la prestazione non è quella sperata ma questo puoi saperlo solo dopo il fischio finale, quando diventa semplice per tutti fare gli allenatori…».
Ora, due domande per far conoscere ancor meglio ai bitontini il Roberto Taurino uomo e allenatore. La prima: cosa rappresenta per te Antonio Calabro? Compagni di squadra a Brindisi, tuo allenatore a Gallipoli e Francavilla, dove sei stato anche suo vice in panchina, appena appese le scarpette al chiodo. Molto più di un collega (molto stimato nell’ambiente) e un conterraneo, per te…
«Antonio, prima che collega o compagno di squadra, è un grande amico. Abbiamo condiviso emozioni incredibili, alcune entusiasmanti altre meno, ma c’è una cosa che ci accomuna: da tutte le esperienze vissute insieme abbiamo tratto qualcosa in grado di migliorarci, come uomini e come sportivi».
La seconda: c’è un altro Antonio allenatore, anch’egli leccese, che ci stuzzica nel creare dei simpatici parallelismi… Come il mister dell’Inter, Conte, anche tu prediligi il 3-5-2, entrambi vivete il campo in modo molto “sanguigno”, passionale, siete dei grandi leader e motivatori, oltre che fanatici dei particolari. Vi conoscete personalmente? Ti rivedi in lui? Secondo noi, rispetto al top trainer nerazzurro, sei meno permaloso e sempre pronto a tornare sui tuoi passi, quando ti accorgi che una tua scelta non ha prodotto i frutti sperati. Confermi o smentisci?
«Stiamo parlando di uno dei migliori allenatori al mondo, quindi mi sembra azzardato fare degli accostamenti… Sicuramente, il Salento è l’elemento principale che ci accomuna, così come il modulo tattico prediletto, però io considero questo come qualcosa di mutevole, legato alle circostanze, alle caratteristiche dei giocatori a disposizione ed all’interpretazione dei ‘ruoli’ di ciascuno di loro. Per tutto il resto, premettendo che non ho avuto il piacere di conoscerlo personalmente, posso dire che la sua carriera, da calciatore prima e da allenatore dopo, ci racconta di un uomo, di un grande professionista che sa sempre quello che vuole e, soprattutto, come ottenerlo. Ogni allenatore ha la sua essenza, un modo di essere che poi determina la sua leadership all’interno dello spogliatoio. Io per carattere ho sempre mal digerito, anche da giocatore, chi esercitava la sua autorità semplicemente perché ricopriva un ruolo di comando, chiamiamolo così. Credo che un leader (ed un allenatore deve esserlo per i suoi ragazzi) non si possa decidere a tavolino o tramite nomina, egli è tale solo se il gruppo lo ritiene tale, quindi è una conquista che passa dall’atteggiamento, dall’esempio, dalla conoscenza e dalla capacità di decidere. Tutto ciò non ti mette nelle condizioni di essere infallibile, sia chiaro, ecco perché considero l’errore parte integrante di un percorso di crescita e affermazione. Soltanto chi riesce a rendere l’errore una grande occasione per migliorarsi avrà la possibilità di evolversi…».
Stai vivendo a Bitonto un’esperienza professionale e umana molto intensa, caratterizzata da saliscendi emozionali e pressioni non indifferenti. Dopo circa otto mesi in neroverde, avrai sicuramente le idee chiare, ci conosci bene adesso… Che città e piazza calcistica siamo?
«Con la piazza ho avuto subito un buon feeling (alimentatosi strada facendo grazie al percorso entusiasmante che i ragazzi ci stanno regalando) e il confronto con gli ultras neroverdi dopo le due sconfitte contro Fasano e Agropoli è stato determinante, secondo me… Ci ho messo la faccia, in quel momento così negativo, e i tifosi credo abbiano apprezzato il mio assumere le giuste responsabilità. Lì Bitonto ha iniziato a conoscere il Taurino uomo e non soltanto l’allenatore; di lì qualcosa è cambiato in meglio, tutti hanno iniziato a credere nel lavoro mio e di tutto lo staff. E sono arrivati anche i risultati sperati che ci meritavamo per il lavoro e l’impegno di tutti. La gente ha iniziato a credere, com’era giusto che fosse, anche e soprattutto nella figura cardine di tutto il progetto Bitonto Calcio, cioè il presidente Rossiello. A tal proposito, mi permetto di dare un consiglio a tutta la città: tenetevi ben stretto Francesco Rossiello e la sua straordinaria famiglia…! Concludo ricordandovi che a luglio avevamo un grande sogno che oggi condividiamo noi squadra con tutta la città e tutti insieme proveremo a realizzarlo. Dobbiamo darci una mano, però, dobbiamo restare uniti e lottare insieme. Sempre. La parola chiave è stata, e lo è in questo momento più che mai, una sola: fiducia».
Giuseppe Urbano