A 700 anni dalla sua morte, è doveroso ricordare Dante in maniera coerente con la sua figura storica, che le celebrazioni ufficiali, forse, hanno trascurato dimenticandone la centralità nella cultura dell’epoca medievale. Alla quale, sempre e comunque, egli va rapportato per non essere frainteso né interpretato in maniera fuorviante come, invece, accaduto. La sua morte avvenuta nel settembre del 1321, quella che taluni, suggestionati da certa filmografia hollywoodiana dilagante, attribuiscono ad oscure trame di non meglio precisati loschi figuri, si presenta come un evento piuttosto comune nell’epoca, quando la malaria era la brutta bestia per tutti ed una semplice influenza mieteva vittime più di un’epidemia moderna. I funerali solenni in suo onore, celebrati qualche giorno dopo con grande concorso di popolo e di autorevoli personalità, attestano, d’altra parte, la sua importanza ed autorevolezza sul piano culturale, politico e sociale ma non hanno nulla a che vedere con la spettacolarità di un evento contemporaneo trasmesso in diretta su un qualsiasi canale televisivo o telematico. All’indomani della sua scomparsa, poi, il cordoglio unanime del mondo culturale di tutta l’Italia centro-settentrionale suona come un omaggio sincero e sentito ad un grande intellettuale, rispettato e conosciuto da tutti in un mondo in cui le distanze erano notevoli e il telefono o la televisione o Facebook non le avevano ancora accorciate se non annullate del tutto. Inoltre, il commosso ricordo di intellettuali quali Cino da Pistoia riconosce unanimemente il suo ruolo di Maestro e di Auctor, nel senso più autentico del termine latino, e non è certo paragonabile ad un post su Facebook sia pure seguito da centinaia di migliaia di like. La rapida circolazione, infine, del suo capolavoro in gran parte dell’Italia centro-settentrionale, davvero impressionante, dimostra attenzione e sensibilità notevoli in un’ epoca, che non conosce la velocità nella comunicazione né strategie editoriali accuratamente studiate: si annoverano, infatti, nel periodo 1321 – 1355, oltre ottanta manoscritti della Commedia, divenuta ben presto l’opera più conosciuta, letta e commentata malgrado essa presenti due gravi difetti: essere scritta in volgare e puzzare di eresia. Destinato a diventare un long seller in brevissimo tempo, il Poema, quindi, si colloca al centro del mondo letterario italiano, dominandolo in maniera pressoché incontrastata per i due secoli successivi e rinnovando il suo successo negli ultimi due, di cui siamo testimoni. Ed esercitando un’ influenza enorme sull’immaginario collettivo nazionale ed anche internazionale, che rende impossibile ancor oggi concepire un Aldilà diverso da quello descritto da Dante ed altrettanto difficile interpretare personaggi e situazioni della Commedia in un’ottica che non sia quella da lui proposta. Proprio a tal riguardo, l’Alighieri, salve le debite differenze, si comporta in maniera moderna nella Commedia, lavorando in maniera sottile e pervasiva come gli influencer contemporanei. Lo dimostrano celebri episodi di cronaca nera da lui ricostruiti, letti, giudicati talvolta arbitrariamente. Si pensi al suicidio di un personaggio famoso: insistendo su particolari drammatici, ma raccontandolo in termini piuttosto generici, egli suscita commiserazione e condivisione, ma lascia intendere un chiaro giudizio innocentista. Da cui nasce, spontanea, l’unanime condanna dei lettori e dell’opinione pubblica, in genere, per il cattivo di turno, sia egli imperatore, papa o semplice cittadino. L’analisi storica ha dimostrato, ad esempio, che Pier delle Vigne, il protonotaro di Frederico di Svevia suicidatosi per dimostrare un’innocenza solo protestata ma non accerata, abbia probabilmente tradito il suo “signore” (Inf., X, v. 75), colludendo con la Chiesa ed il papa Innocenzo IV. Stesso discorso vale per altri personaggi come Pia dei Tolomei, vittima di un femminicidio, della quale però non si dice il peccato che l’ha condannata nell’Antipurgatorio in attesa di scontare una pena, e Giustiniano, spirito beato nel cielo di Mercurio, la cui efferatezza era ampiamente risaputa all’epoca di Dante, avendo l’imperatore bizantino condannato pesantemente il generale Belisario, che pure gli aveva procurato un bel po’ di gloria e di terre d’oltremare con la vittoriosa Guerra Gotica. Queste figure della Commedia godono di un’ ottica positiva che ben pochi lettori sono disposti a ridefinire o rivedere, perché se l’ha detto Dante è d’obbligo accettare e condividere il suo giudizio, mettendo un like. Dove? Ma sul suo profilo, che dura ininterrotto da settecento anni!