Gentile dottoressa,
ho 41 anni, sono sposata da 10 e ho un figlio di 5 anni. Da diverso tempo, ormai, la situazione in casa con mio marito è pessima. I primi anni sono stati felici, andavamo d’accordo e non litigavamo quasi mai, ma con il tempo le cose sono cambiate. A partire dalla nascita del bambino abbiamo cominciato ad allontanarci, lui era sempre preso dal lavoro e dai suoi mille impegni e io mi sentivo sola, alle prese con la casa e un figlio da crescere. Negli ultimi due anni siamo diventati praticamente estranei, ognuno conduce la propria vita e gli unici scambi che riusciamo ad avere riguardano il bambino, ma spesso sono molto conflittuali perché non siamo d’accordo su tanti aspetti e finiamo per urlare e litigare. Da molto tempo sto pensando alla possibilità di separarmi perché sono stanca di questa solitudine e penso che anche a mio figlio non faccia bene tutto questo. Ho, però, tanta paura di prendere questa decisione, soprattutto perché già so che potrebbe fare molto male al bambino ma nello stesso tempo non ce la faccio più a sostenere questa situazione! Spero vorrà darmi una risposta, ho mille domande nella testa!
Mamma triste
Gentile signora,
innanzitutto grazie per aver condiviso il suo vissuto, immagino non sia facile per lei affrontare da sola questo momento.
Capita spesso nelle coppie che la nascita di un bambino provochi una rottura, una frattura che i coniugi non riescono più a risanare. Dalla sua lettera leggo che vostro figlio è nato dopo diversi anni in cui siete stati solo lei e suo marito, nella vostra intimità e armonia. L’arrivo di un bambino è sempre un evento che sconvolge l’equilibrio di una coppia, per quanto possa essere desiderato e fortemente voluto: nella diade si inserisce un elemento che inizialmente viene percepito come estraneo e che spaventa soprattutto l’uomo, che può sentirsi escluso da un legame tra madre e bambino che fisiologicamente è molto più forte e fusionale. Nel vostro caso, questo bambino è arrivato dopo diversi anni in cui siete stati solo in due e questo può aver reso ancora più difficile il riadattamento ai nuovi equilibri, causando, a lungo andare, un progressivo allontanamento reciproco ed il deterioramento della relazione di coppia: da una parte, suo marito probabilmente si sarà sentito sempre più escluso e avrà reagito ritagliandosi fuori casa spazi per sé, nella incapacità di guadagnarsi un posto nella relazione con il bambino; dall’altra lei, sentendosi trascurata e sola, con il tempo avrà dedicato sempre più spazio ed energie a suo figlio e meno a suo marito.
Nel lavoro con le coppie spesso i coniugi portano in terapia la propria visione del problema, improntata ad una causalità lineare, nel senso che ciascuno attribuisce all’altro le colpe ed i problemi; quello che, invece, si cerca di far emergere è una causalità di tipo circolare in cui non si va alla ricerca del colpevole, ma si comprende insieme come ogni comportamento del partner è una reazione al proprio e viceversa, in un circolo vizioso e deleterio che si può interrompere solo quando se ne diventa consapevoli. L’aiuto di un esperto serve proprio a questo, ad aiutare le coppie a guardarsi da una prospettiva nuova, dall’esterno, svincolandosi dalle dinamiche di accuse reciproche che annebbiano la vista. Il mio primo consiglio, quindi, è di rivolgervi ad un esperto che possa aiutarvi a fare chiarezza e aprire una strada al dialogo ed al confronto.
Qualora, invece, questo non sia possibile, se lei o entrambi sentite che l’unica soluzione possibile è quella della separazione, posso dirle che tutti gli studi dimostrano che non è il divorzio in sé a causare problemi ai figli ma l’elevata conflittualità tra gli ex coniugi e tutte le dinamiche che ne derivano: il bambino, infatti, non è un semplice osservatore, ma è pienamente inserito nel gioco familiare e può essere investito di diversi ruoli:
* mediatore del conflitto tra i genitori, “costretto” a schierarsi con uno o l’altro;
* caregiver di uno dei due genitori, generalmente quello più debole e sofferente: capita spesso, soprattutto con i bambini più grandi, che ci sia una vera a propria inversione di ruolo per cui è il figlio a doversi prendere cura della madre o del padre;
* capro espiatorio, veicolo di tutte le conflittualità dei coniugi.
In tutti questi casi il bambino svilupperà forti sentimenti negativi e contrastanti, dalla rabbia all’impotenza, dalla tristezza al senso di abbandono. Di fronte ad un aperto conflitto tra i genitori, il figlio tenderà sempre a pensare che sia per causa sua e si sentirà in colpa, maturando vissuti emotivi molto intensi come quello di essere un “bambino cattivo” e di non essere degno dell’amore dei genitori.
Ciò che conta, dunque, anche in caso di separazione o divorzio, è continuare a funzionare bene come genitori: se la coppia si separa, i coniugi devono riuscire a mantenere salda e intatta la loro funzione genitoriale, rassicurando il più possibile i figli sul fatto che continueranno ad essere amati e rimanendo per loro un punto di riferimento emotivo stabile e positivo.
Secondo Cigoli e Scabini, infatti, i compiti di sviluppo che gli ex coniugi sono chiamati ad affrontare come genitori sono principalmente due:
* riuscire a collaborare in maniera serena con l’ex coniuge per garantire ad entrambi l’esercizio della funzione genitoriale;
* consentire al figlio l’accesso alla storia di entrambe le famiglie di origine perché l’ambiente in cui il bambino è cresciuto deve rimanere il più possibile stabile in modo da garantirgli il supporto emotivo dei nonni, degli zii e dei cugini, che risulterà fondamentale per affrontare i numerosi cambiamenti a cui comunque dovrà andare incontro.
Ci sarebbe molto altro da aggiungere ma lo spazio a disposizione, purtroppo, non è tanto.
Spero che questi pochi spunti possano essere stati utili a lei e a tutte le altre donne che probabilmente condividono la sua stessa difficoltà.
Rinnovo, quindi, la mia disponibilità a rispondere a chiunque vorrà chiedermi un consiglio o raccontarmi di una sua situazione problematica scrivendomi all’indirizzo psi_chiara.colamorea@yahoo.com
La saluto, gentile Mamma triste, e la abbraccio.
Dott.ssa Chiara Colamorea