C’era una volta la dignità.
Siamo tutti puttane. Così Ferrara,
direttore del Foglio, inneggia alla difesa del suo padrone Berlusconi in piazza
Farnese il 25 giugno, ponendosi un elegante rouge sulle labbra sottili.
Che cosa c’è dopo la tristezza? La
rassegnazione forse. O anche peggio. L’indifferenza. Quella gramsciana dei
parassiti della storia. Siamo così immuni a spettacoli di questo genere da non
accorgercene nemmeno. Sembra uno di quei giochi in cui ognuno ha un biglietto
sulla fronte e si deve indovinare la parola su di esso. La parola è sempre
quella: scemo.
Io mi sento tanto l’asfalto di questa
società, calpestato continuamente, insudiciato, elemento turpe del paesaggio.
Io mi sento estranea a casa mia. Questa società non voglio credere mi
appartenga. Sia chiaro: quella che usiamo non è l’arma della
indifferenza per cui si spera che queste iniziative si spengano sul nascere.
Non siamo ancora a tale livello di superiorità intellettuale. E non è nemmeno
una prova di resistenza contro la scelleratezza umana. Semplicemente non ci
facciamo tangere. Con l’atarassia di un monaco buddista in meditazione. Nuove
frontiere di masochismo inverso. Non proviamo piacere, ma ci facciamo del male
lo stesso.
Siamo-tutti-puttane.
Siamo: prima persona plurale per
indicare che siamo tutti dalla stessa parte. Tutti: maschi e femmine. Sono
commossa da questo atto di parità promosso da Ferrara. Anche la persona più
pacifica dovrebbe rabbrividire. La solfa è sempre quella: sminuiamo la porcata
del vertice Berlusconi così da portarla ad un livello tale per cui siamo tutti
peccatori. E se siamo tutti così vuol dire mal comune mezzo gaudio. Vuol dire
che non si salva nessuno. Ciò si traduce in una svalutazione della colpa. Dove
la colpa è solamente concussione (il più grave dei reati contro la pubblica amministrazione
italiana) e prostituzione.
Sono lontani i tempi in cui si
diceva “volgi lo sguardo a chi è migliore di te”. Oggi siamo abituati a
giustificare il marcio, a passare oltre l’illecito, a sorvolare facilmente in
nome della benedetta frase non-c’è-nulla-di-male.
Non siamo scesi in piazza quando
avrebbero potuto toglierci solo le mutande oramai, e lo facciamo adesso, per
difendere un 76enne con la Sindrome di Peter Pan, uno di quei grandi col cuore
di bimbo da lasciar stare perché cosa avrà fatto poi di così sbagliato. Saranno
pure fatti suoi se vuole spassarsela. Perlomeno è stato generoso. Almeno una
cosa di sinistra ce l’ha: il mettere in comune, il condividere la sua vita
privata con tutti i cittadini.
Sono lontani i tempi in cui Bowie
cantava “we can be heroes”. Qui da noi basta essere tutti puttane. L’importante
è che stiamo sulla stessa barca, almeno si affonda in compagnia. Silvio non lo
lasciamo solo. Alla deriva ci dobbiamo finire pure noi, come se non bastassero
i 20 anni di danni irreversibili al (Bel?) Paese.
“Siamo tutti puttane.. Il mio è uno
slogan evangelico. ”- così inveisce il direttore del Foglio, di cui ha di certo
lo spessore morale ma non fisico. Mentre è in piazza Farnese parla con la calma
di chi è fermo nelle sue convinzioni. Il suo linguaggio del corpo lo rivela:
mantiene il sigaro in maniera spavalda, elargisce bugie come fossero sacrosante
verità, usa termini addirittura del contesto ecclesiastico giusto per darci una
parvenza di catarsi. La spontaneità con cui vende le sue corbellerie è
disarmante. Assurdo pensare quanto la cultura al servizio di chi la usa con
destrezza possa diventare mezzo di diffusione di menzogne così palesi. Perché a
noi popolo di sguaiati piacciono queste farse plateali, i gesti teatrali. Riusciamo a berci queste fandonie perché
vengono dette con una calma serafica che sembra sicurezza. Veniamo drogati
dolcemente, come la pillola messa fra i croccantini al cane malato che dunque
non si accorge di nulla. Truman direbbe: “Se non puoi convincerli, confondili”.
E dunque sembra tutto un dormiveglia, tutto sembra leggero, ovattato,
transitorio.
Dice in piazza: ”Non potete trasformare
in reato un comportamento – quello di Berlusconi – che onora lo spirito
italiano, puritani che non siete altro”. Ferrara dovrebbe andarsi a rivedere i
suoi studi per ricordare che nella parola greca aidòs, la vergogna
e l’onore sono inscindibili. E dovrebbe anche ricordarsi che è stato proprio il
governo Berlusconi ad inasprire le pene per la prostituzione ma che è il primo
in Italia ad essere difeso nonostante abbia agito in quella direzione. Sempre
perché sono in vena di proverbi: “Fate come dico io ma non vi comportate come
faccio io.”
C’è però un non so che di ammirazione
nella scelta dell’Elefantino. Alla base del suo elegante slogan vi è comunque
una motivazione psicologica: usiamo una parola sconveniente in modo tale da
scardinarne il potere negativo. Insomma siamo autoironici. Non potete scalfirci
perché l’arma che usate è la stessa che impugniamo noi per sminuirvi.
E allora donne, quest’estate, anziché
comprarvi quelle magliette tanto carine di Happiness, perché al modico prezzo
di 10 euro non fate una scelta morale e politica, e acquistate la T-shirt
“siamo tutti puttane”? Sdoganiamo la prostituzione, sull’onda dell’atteggiamento
di anni di Berlusca.
Non ci lamentiamo poi se gli uomini
chiamano con facilità le donne “troie”, e se le nostre sorelle, figlie, cugine
più piccole non si offendono neanche di fronte a tali scempi. Dovremmo sempre
ricordare che si tratta di un termine unilaterale e che un equivalente maschile
non esiste.
E’ solo il sinonimo della femmina-merce
che si concede in cambio di denaro. Fin quando era utile ad una parte
politica il termine appropriato era Escort. Ora puttane. Usiamo il linguaggio a
nostro piacimento a seconda che il ruolo sia quello di attaccante o difensore.
Poi, dopo l’epiteto di turno,
eventualmente ci si ricorda che si tratta di donne.
Io mi vergogno.