L’uomo, catapultato – qualcuno direbbe gettato1 – nella realtà postmoderna, nella quale sembra aver perso la consapevolezza d’essere – meglio, d’esistere – , risulta essere completamente ripiegato, in senso esistenziale, sui calcolatori elettronici2.
Parlando di quest’ultimi, è incontrovertibile ritenerli parte attiva dell’essere umano postmoderno, tanto da declinarsi a quest’ultimo come se fossero un’estensione del proprio corpo, fisicamente parlando.
Tutto sembra partire e convergere in questi calcolatori: l’uomo del postmoderno – io definirei l’era contemporanea come “era della grande comunicazione” – risulta munito di un braccio in più, di una mano in più, di un cuore in più che pompa vie di comunicazione.
Analizzati in quanto tali – i calcolatori elettronici – effettivamente aprono all’uomo una rosa di possibilità di comunicazione decisamente più ampia rispetto al “normale”, o meglio dire rispetto ad anche solamente un decennio fa.3
Che siano buoni o cattivi, che influenzino negativamente o positivamente l’uomo, e l’indagare se quest’ultimo possa risultarne compromesso non è compito di quest’articolo; quel che qui è in oggetto sono i sentimenti dell’essere umano, i quali risultano manifestarsi specialmente sotto forma di comunicazione.
In questa riflessione quindi cercheremo di capire che cosa siano i sentimenti, facendoci guidare, nella nostra analisi, dalla comunicazione in senso lato.
La domanda cui tenteremo di rispondere inizialmente è la seguente: è vero che i sentimenti si confacciano all’essere umano e non viceversa?
Vediamo più da vicino questo quesito: l’uomo riesce a cogliere davvero i sentimenti oppure li piega a seconda delle situazioni? Se così fosse, arriveremmo ad una conclusione inquietante: l’uomo non riesce mai a conoscere realmente – in quanto tali – i sentimenti.
Eppure, per quanto quest’ipotesi possa risultare infondata o quantomeno campata per aria, sembra essere continuamente confermata dall’evidenza delle situazioni: se l’uomo, effettivamente, piegasse a sé stesso i sentimenti – considerati in quanto modificatori di comunicazione – quelli di cui potrà avere esperienza non saranno mai veri, puri; risulteranno infatti essere sempre e comunque contagiati dalla contingenza delle situazioni.
Potrebbe sembrare una digressione inutile a primo acchito quella che stiamo per fare, eppure tengo assolutamente a spiegare quel che intendo per “sentimenti in quanto modificatori di comunicazione”: l’esplicazione di ciò sarà propedeutica alla comprensione di quel che stiamo analizzando.
Se ci pensate, ipotizzando di star comunicando con una persona X, a seconda di cosa proviamo nei confronti di questa – disgusto, rabbia, ribrezzo, invidia, odio, ammirazione, stima etc. – il comunicato ed il modo di comunicarlo risulteranno essere ridefiniti di conseguenza.
Visti in quest’ottica i sentimenti possono avere due funzioni dicotomiche e diametralmente opposte: funzione inibitoria e funzione esplicitante. Questi nomi poiché, a seconda dei sentimenti covati nei confronti di una data persona, alcune frasi saranno eliminate dalla comunicazione – inibite – ed alcune altre invece comunicate anche con maggior brio; rese quindi esplicite.
Il discorso a questo punto potrebbe continuare verso altre sponde e questa mia riflessione potrebbe quindi inerpicarsi in tortuose strade che potrebbero figurare come fuorvianti rispetto alla tematica in questione. Eppure non sento di voler troncare quanto potrebbe esser detto: per questo vorrei consigliarvi caldamente la lettura dell’Ethica di Spinoza – in particolare le parti III e IV, dedicate agli Affetti – il quale riesce a trattare questa tematica sicuramente meglio di quanto io possa mai pensar di fare.
Ritornando ai sentimenti da noi visti, considerati in quanto abbiamo visto poco sopra, essi risultano modificare molto il contenuto del parlato: rivedono, quindi, la comunicazione quasi in toto.
La vera domanda, ora, è quindi la seguente: quanto l’uomo coglie realmente i sentimenti o, quantomeno, potrebbe almeno avere la speranza di coglierli nella loro interezza?
Poco sopra abbiamo constatato come i sentimenti “contagino” il comunicato eppure, pensandoci, sembrano anche contagiare il comunicante, l’uomo: il suo stesso comportamento risente del sentimento di cui è preda. Infatti, nel caso il comunicante fosse arrabbiato non è raro vederlo agire impulsivamente comunicando con grande invettiva; altresì, nel caso fosse spinto d’amore agirebbe “al di là del bene e del male”4.
L’uomo coglie i sentimenti, quindi, attraverso il loro esserci nella persona interessata e nel modo di comunicare con questa; non sembra, invece, mai coglierli in quanto tali, nella loro interezza. Speranzosamente però, penso che non sia detto che egli non possa coglierli: l’uomo che pensa, l’uomo che è cosa pensante – invocando Cartesio – potrebbe, tramite la riflessione, cogliere i sentimenti di cui è preda. Ma in quale maniera?
Ho detto “tramite la riflessione”, ossia l’atto del riflettere. L’uomo che pensa e che riflette potrebbe, infatti, prendere consapevolezza del comunicato e del suo modo di averlo fatto con una data persona. Riproponendo l’esempio della persona X, vediamolo ancora per spiegare quanto appena asserito: l’uomo pensante ricorderebbe come ha trattato X – in preda alla rabbia, per esempio – e capirebbe come abbia riservato nei suoi confronti un trattamento diverso rispetto ad un’ipotetica persona Y con la quale era in preda all’amore. Dal comunicato e dalla comunicazione – dalla maniera in cui ha comunicato – capirebbe il sentimento di cui era preda: conoscerebbe, attraverso la riflessione di quanto ha detto e di come lo ha detto, il sentimento di cui era preda nel mentre dialogava. In questa maniera l’uomo arriva, se non alla conoscenza, almeno alla comprensione del sentimento e, per estensione, dei vari sentimenti di cui può esser preda.
Facciamo un altro esempio esplicativo di quanto detto sopra: ipotizzando d’aver litigato con qualcuno, nel momento del litigio gli avrete sicuramente risposto con impulsività e con un’invettiva tutto dire; avete risposto con rabbia. Ecco: di questo “con rabbia” ne sarete consapevoli solamente a posteriori di una riflessione di quanto detto e nella maniera con la quale l’avete detto. E così, come volevasi dimostrare, l’uomo che riflette è arrivato alla conoscenza o comprensione del sentimento.
Alcuni di voi ora potrebbero obiettare: in questa maniera l’uomo non conosce realmente il sentimento poiché quel che arriva a comprendere è solamente quel che consegue da loro, ossia, seguendo quanto detto nell’articolo, una modificazione del comunicato e del modo di comunicarlo.
Accolgo questa contestazione e rispondo, chiedendomi e chiedendovi: chi ha stabilito che i sentimenti siano qualcosa di trascendente e quasi oltre l’essere umano? Chi ne ha stabilito la loro impalpabilità? Lo sono davvero impalpabili e trascendenti?
Sono davvero qualcosa in più rispetto alla comunicazione, cosa imprescindibile, tra l’altro, all’uomo, per poter vivere?
Simone Santamato
Note al Testo:
1: E’ un riferimento alla definizione heideggeriana sull’uomo considerato esistenzialmente.
2: Ho voluto catalogare tutti quelli che avrete capito essere i cellulari secondo un nome concettuale quale “calcolatori elettronici” in ossequio alla riflessione heideggeriana in merito, condotta durante un corso universitario (1955-1956). Tale riflessione può essere letta ne “Il principio di Ragione” a pag.35 [Fabbri Editore/ 1996/ a cura di Franco Volpi e Giovanni Gurisatti].
3: Inizialmente, in fase di stesura, la riflessione in oggetto non voleva essere un’analisi dei sentimenti visti sotto l’ala della comunicazione, ma altro: infatti, quel che scritto dall’introduzione sino a dove questa nota nel testo è posizionata era inteso per essere da introduzione per la riflessione di cui qui vi ho detto. Eppure ritengo che questa breve e concisa riflessione – mi riferisco a quella condotta sui dispositivi elettronici – risulta essere interessante seppur la si possa ritenere una semplice e pura digressione.
4: Semi-citazione da: Nietzsche, Al di là del Bene e del Male, pag. 121, frammento