Eternamente brutto, sporco e cattivo, terra di fuochi e di mafie, sprechi, scandali e morti bianche, rifiuti tossici e velenosi disastri, il Sud, bello e impossibile, sembra non poter sfuggire al suo irredimibile destino di perdizione.
Anche quest’anno la campana dello Svimez ha suonato “a morto”, con tocchi sempre uguali e sempre più pesanti, per ricordarci che il nostro Pil è stato negativo per il settimo anno consecutivo, con una crescita che dal 2011 al 2013 è stata meno della metà della Grecia.
Che si registra un divario record al 53,7% del Pil pro capite rispetto al resto del Paese.
Che gli investimenti continuano a cadere.
L’industria è al tracollo, con un valore aggiunto precipitato del 38,7% dal 2008 al 2014.
Donne e giovani sono fuori dal mercato del lavoro.
Nascite al minimo storico da 150 anni, che preannunciano uno tsunami demografico.
E un rischio su tutti: il depauperamento di risorse umane, imprenditoriali e finanziarie potrebbe impedire al Mezzogiorno di agganciare la possibile nuova crescita e trasformare la crisi ciclica in un “sottosviluppo permanente”.
Insomma il solito bollettino di guerra, la fotografia dell’economia del Mezzogiorno in cui giganteggiano solo le ombre, anzi il buio più totale.
Per chi suona la campana dello Svimez?
Per tutti. Irrimediabilmente per tutti.
Che fare? Il professor Mario Spagnoletti ha ricordato nei giorni scorsi che il 19 ottobre 1900, il “Corriere delle Puglie” diretto da Martino Cassano, allora unico quotidiano pugliese, pubblicava un articolo intitolato “Le classi dirigenti”, in cui si polemizzava contro un ceto regionale e meridionale ritenuto incapace di assolvere ad una funzione di progettazione e direzione politico-economica ed oscillante sempre pendolarmente tra “rivendicazionismo“e “autocompiangimento“.
Il professor Spagnoletti si domanda :115 anni dopo quanto e come è mutata la situazione?
Forse non molto.
Ma ricordando il monito del saggio cinese Lao Tzu secondo cui “fa più rumore un albero che cade che un’intera foresta che cresce”, bisognerebbe anche cercare, far conoscere e valorizzare i cento, mille alberi del bene che crescono nelle nostre contrade.
Storie spesso invisibili e di indicibile coraggio, impegno, ricerca e fantasia, quasi sempre oscurate dalla continua e fragorosa caduta degli alberi del male.
Non per mettere la sordina alle nostre tragedie, ma per dire che forse non tutto è perduto e che abbiamo qualche motivo per sperare ancora.
A disporsi alla ricerca minuziosa e attenta delle storie positive del Sud e al volenteroso ascolto delle imprese dei nuovi “Mosè” che vogliono aiutare il loro popolo alla traversata del deserto, si è posto Lino Patruno, giornalista (è stato per 13 anni direttore de La Gazzetta del Mezzogiorno” e ora dirige il Master in giornalismo dell’Università di Bari in sinergia con l’Ordine) e scrittore che dedica anima, libri, editoriali e conferenze per disintegrare i pregiudizi contro il Sud.
Missione quasi impossibile perché “è più facile fare a pezzi un atomo” come lui stesso sottolinea citando Albert Einstein.
Ma Patruno è tosto quanto una vecchio contadino e duro come un indomito minatore.
E così, storia dopo storia, impresa dopo impresa, scoperta dopo scoperta, personaggio dopo personaggio, ha messo insieme il puzzle della buonavita organizzata del Mezzogiorno e ha dato alle stampe “Il Meglio del Sud – attraversare il deserto, superare il divario” edito da Rubettino, 304 pagine, 15 euro (bellissima anche l’allegata foto di copertina ).
Il libro schiva il pericolo della “narrazione” (lo storytelling come dicono quelli che parlano bene) e non è esercitazione accademica, ma è il lavoro di un cronista che si è messo alla ricerca di storie vere e le racconta con nomi, numeri, date e circostanze.
Ne viene fuori un Sud dall’antichissimo cuore di pietra ma anche, o soprattutto,dal futuro tecnologico che molti suoi “figli” abitano già da protagonisti nel mondo dell’economia, della ricerca, dell’innovazione.
Tesori nascosti e ricchi non solo di eccellenze nell’ambito dell’informatica e della scienza, ma anche di un profondo senso di giustizia e legalità e di difesa di valori non ancora perduti.
La “morale” della storia vera raccontata da Patruno è che anche il Sud, soprattutto il Sud, sarà salvato dalla bellezza, sempre che i meridionali non le voltino le spalle e che, tutte le classi dirigenti, si rimbocchino le maniche: dai Palazzi del potere all’ultimo podere di Capitanata.
E a patto di mandare a memoria e incarnare la storiella del Signor Keuner scritta da Bertolt Brecht.
“Il signor Keuner percorreva una valle, quando improvvisamente notò che i suoi piedi affondavano nell’acqua. Allora capì che la sua valle era in realtà un braccio di mare e che si avvicinava l’ora dell’alta marea. Si fermò subito per guardarsi attorno in cerca di una barca e finché ebbe speranza di trovarla rimase fermo. Ma quando si persuase che non c’erano barche in vista, abbandonò questa speranza e sperò che l’acqua non salisse più. Solo quando l’acqua gli fu arrivata al mento abbandonò anche questa speranza e si mise a nuotare. Aveva capito che egli stesso era una barca”.