Finalmente, dopo mesi di astinenza (si fa per
dire), nei giorni scorsi ho assistito ad un’ora di consiglio comunale
bitontino.
Non che ne avvertissi particolare necessità,
sia chiaro, perché ritengo che ormai la massima assise cittadina sia diventata
la culla della demagogia (e per fortuna non ci sono le riprese del consiglio
comunale, che servono soltanto, e lo sottolineo con vigore, ad incrementare
l’ego di quei consiglieri tutta prosopopea che non vedono l’ora di essere
ammirati da non più di venticinque masochisti), ma un cittadino che voglia
essere definito tale ogni tanto deve pur farlo.
(S)Fortuna
ha voluto, però, che assistessi ad un momento cardine della storia della nostra
città.
Per la
prima volta, infatti, le esenzioni fiscali verso onlus, fondazioni, parrocchie,
in pratica tutti quei soggetti meritevoli che compongono il cosiddetto terzo
settore, sono stati messi in discussione da un provvedimento della maggioranza.
Non mi
interessa, tuttavia, addentrarmi nella questione, spinosa e sicuramente ancora
poco chiara, ma capace di (ri)svegliare – e si ritorna sempre lì – gli animi
demagogici di chi si erge a paladino dell’equità sociale e/o di chi tutela
forse l’unica certezza della nostra città. No.
Mi hanno
colpito, ed anche, a dire il vero, un po’ ferito da cattolico/credente/nemmenotroppopraticante,
le parole che un paio di consiglieri di maggioranza hanno proferito per
avvalorare le loro tesi da novelli robin hood.
Parlare
dei locali parrocchiali come “luoghi di indottrinamento” o
considerare la Chiesa un ente che “vive, lavora o guadagna sulle disgrazie
delle persone”, alla luce di quanto dimostrato in questi anni nella nostra
città, mi è sembrato veramente vergognoso, oltreché ingeneroso.
Superfluo stare a ricordare quanto hanno fatto, e continuano a fare, di buono la Fondazione Santi Medici per malati terminali, poveri, anziani o realtà
parrocchiali come Cattedrale o Cristo Re che vantano decine di volontari che
provano, quotidianamente, a tirare fuori i bambini delle zone più malfamate di
Bitonto e delle famiglie più pericolose dalle grinfie della malavita.
ESan Leucio?
E il Santissimo Sacramento?
E il Crocifisso?
Quante vite hanno
salvato, che invece potevano prendere le strade del male, e a Bitonto sappiamo
bene che non ci vuole proprio nulla, specie in periodo di crisi come questo?
Inutile
dire che parole al veleno, taglienti come lame di coltello, come quelle
pronunciate da questi consiglieri che parevano in pieno delirio di onnipotenza,
fanno male più di qualsiasi imposta da pagare.
Se chi
dovrebbe rappresentare una città pensa queste cose del settore che, volenti o
nolenti, ha rappresentato e rappresenta da anni la stampella a cui aggrapparsi –
e spesso lo ha fatto proprio Palazzo Gentile, rammentarlo è doveroso per noi,
figurarsi per loro che lì vi dimorano – per evitare qualsiasi sciagura sociale,
bene, credo si sia arrivati ad un punto di non ritorno.
Non
serve essere ottusi o bigotti per guardare la realtà bitontina e provare
rispetto verso chi ha davvero lavorato, il più delle volte a costo zero, per il
bene della comunità.
Serve solamente il buon senso ed una coscienza,
vera, non traviata dalla brama di potere che è capace di annebbiare le menti.
Tasse
sì o tasse no, ogni discorso è opinabile ed ognuno la può pensare legittimamente
come vuole.
Ma sul
rispetto non si transige. Nei confronti di tutti. Soprattutto verso coloro che
fanno della solidarietà e della sussidiarietà il pane quotidiano, pure degli
altri.
È una questione di educazione: che uno può
avere. Oppure no, come l’ultimo consiglio comunale ha ampiamente dimostrato.