Per gentile concessione dell’autore Nicola Lavacca e de LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO
La vile e violenta aggressione subita un anno fa davanti alla sua abitazione ha lasciato cicatrici profonde nel cuore e nell’animo di Luigi Moschetto. Il 30enne portiere del Barletta, pochi giorni dopo il brutale e assurdo episodio, ebbe un moto di repulsione abbandonando per sempre quella porta che per tante stagioni era stata tutta la sua vita. “Basta con il calcio, ho deciso di smettere – furono le sue prime parole mentre era ferito e frastornato nel letto di un ospedale -. Questo non è più sport. Se si arriva a picchiare un calciatore persino sotto casa, lontano dal campo di gioco, vuol dire che si è superato ogni limite di rispetto e di convivenza civile”.
Il tempo trascorso da quella sera buia e drammatica del 28 marzo 2017 non ha attenuato l’amarezza e lo sconforto dell’atletico guardiapali barlettano che dopo aver parato di tutto in innumerevoli sfide non solo tra i dilettanti ma anche in serie C, ha definitivamente gettato via i guanti. Sgomento e smarrimento senza confini, ancora oggi difficili da cancellare. Quei ricordi fanno tremendamente male. “Stavo rientrando a casa verso le 22, dopo un’intensa giornata di fatica nell’azienda dove lavoro – racconta Moschetto -. Era il martedì successivo al derby che avevamo perso 4-3 a Trani in maniera rocambolesca dopo essere stati in vantaggio per 3-0 (campionato di Eccellenza ndr). C’era stata la contestazione dei tifosi del Barletta, qualcuno se l’era presa con me per i gol subiti dandomi anche del traditore forse perché fino a dicembre facevo parte della squadra tranese. Accuse pesanti e ingiustificate: sono sempre stato leale e corretto durante l’intera carriera. Ma, nulla lasciava presagire una vera e propria azione punitiva nei miei confronti. Appena arrivato sotto la mia abitazione, sentii una voce alle spalle: “Sei Moschetto?” Neanche il tempo di voltarmi che venni colpito da dietro con alcuni pugni all’orecchio e alla tempia. Caddi giù, senza nessuna possibilità di difendermi. A malapena riuscii ad intravedere le sagome di alcuni individui incappucciati che continuavano a malmenarmi con una sequenza impressionante di pugni e calci. Poi, si dileguarono lasciandomi a terra sanguinante”. La voce rotta dall’emozione per un qualcosa di inconcepibile e di terrificante. Gigi Moschetto mentre era dolorante riverso davanti al portone di casa, sotto shock e con la vista annebbiata, venne soccorso da un ragazzo che avvisò subito i suoi genitori. “E’ una scena che ancora adesso mi mette i brividi. Mai dimenticherò il pianto e le grida di mia madre. E’ stato davvero tremendo”. Il giovane portiere, che pure ha un fisico taurino, riportò diverse lesioni al volto ritrovandosi con il naso fratturato sottoposto poi ad un intervento chirurgico, l’orecchio tumefatto e traumi in molte parti del corpo. Più di una settimana trascorsa in ospedale, a chiedersi anche il perché di un agguato da codardi. “Ho vissuto giorni da incubo che mi hanno segnato e che mi hanno fatto decidere di non giocare più a pallone. Che calcio è mai questo se ti colpiscono da vigliacchi e senza pietà sotto casa? Ero orgoglioso di indossare per la prima volta la maglia della squadra della mia città. A dicembre avevo accolto con entusiasmo la proposta della società nonostante fossi oberato dagli impegni di lavoro. Purtroppo, l’epilogo è stato terribile. Mi sono fatto forza, aiutato dai miei genitori e dalla mia fidanzata che poi ho sposato nel settembre scorso. La famiglia è stata la mia ancora di salvezza. Voglio comunque ringraziare tutti quelli che hanno avuto parole di solidarietà nei miei confronti”.
Ad un anno di distanza da quella angosciante serata, la vita di Gigi Moschetto è cambiata. Dopo il matrimonio ha ritrovato un po’ delle serenità perduta, anche se il trauma psicologico non è facile da rimuovere. Prossimamente, inoltre, dovrà sottoporsi ad un’altra operazione al setto nasale. “Ora mi dedico solo alla famiglia e al lavoro. Con il calcio ho chiuso, in tutti i sensi. Oltre a non giocare più, non seguo neanche i campionati di qualsiasi livello compreso quello di serie A dove c’è la mia Inter. Continuo a fare sport, coltivando la mia passione per le arti marziali, in particolare per il Brazilian Jiu Jitsu”.
Gigi Moschetto, che tre stagioni fa giocò anche nel Bitonto, non si tufferà più da un palo all’altro per deviare un pallone insidioso o per abbrancare la sfera con la consueta maestria. “Spero almeno che il calcio possa finalmente cambiare, anche se purtroppo gli episodi di violenza continuano com’è accaduto di recente ad un paio di giocatori dell’Ascoli. Le autorità competenti prendano i giusti provvedimenti per chi si macchia di comportamenti così malvagi. Bisogna fare uno sforzo di coscienza e lavorare in profondità per non oltrepassare mai i limiti della tolleranza. Una cosa è il campo di gara, un’altra è la vita delle persone che vanno rispettate al di là della contesa e della rivalità sportiva. E’ questo il messaggio che voglio lanciare soprattutto ai giovani”.