C’era una volta il giornalista, quell’uomo curioso di tutto che guardava il mondo con occhi altri. Quelli che per tutti erano i fatti di tutti i giorni, per lui diventavano notizie, se ne avevano la nobiltà. Con un taccuino e una biro in mano, metteva per iscritto il mondo che osservava, scarpinava instancabile per vicoli e strade, ascoltava tutti con attenzione per poi trarre il succo delle loro parole. Da battere rigorosamente a macchina, senza correttore word, ma con un capriccioso carrello da tarare ogni volta che vi inserivi il foglio bianco. Si faceva il giro di nera, cercava di districarsi fra le ombre del dedalo della politica, oppure seguiva affamato di emozioni le gare di ogni sport, calcio dinanzi a tutti. Andava a bussare alla porta di una redazione, di una piccola tv o di una radio – impavidi avamposti di voci libere -, sperava di vedere la sua firma in calce ad una colonna d’inchiostro per sospirare di fierezza. Tutto fatto secondo coscienza ed etica professionale, ben al di là di magniloquenti precetti deontologici. Insomma, era mille anni fa o giù di lì. Eppure, se lo si vuol imparare davvero questo odiatamato mestieraccio, è bene fare questa paziente trafila. Prendete, per esempio, il cursus honorum di Nicola Lavacca, il 63enne bitontino che per la terza volta si è aggiudicato il Premio “Michele Campione”, giunto alla 17esima edizione, organizzato dall’Ordine dei Giornalisti di Puglia e dalla famiglia dell’indimenticato e illustre maestro. Da più di otto lustri in trincea, ha attraversato le diverse ere del giornalismo nostro, web incluso, lavorando su testate di gran pregio- La Gazzetta del Mezzogiorno, la Gazzetta dello sport, Avvenire e Famiglia cristiana, fra le altre – trattando le più disparate tematiche, dalla cronaca al sociale, facendosi ognora sensibile “bracconiere di storie e personaggi”. Questa volta, ha meritato la prestigiosa targa per l’articolo dal titolo Da Bitonto a Maranello, “così volano le Ferrari di Vettel e Leclerc”, pubblicato sul Corriere del Mezzogiorno-Corriere della sera. Ha narrato da par suo la storia dei due fratelli bitontini Francesco e Vincenzo Acquafredda che con grande coraggio, umiltà e determinazione sono partiti con la loro valigia carica di speranza, approdando a Maranello e alla Ferrari dove ora sono i meccanici di Sebastian Vettel e Charles Leclerc. L’ennesimo, importante riconoscimento (e siamo a 15, una decina di caratura nazionale) per un cronista di razza. Che, siamo certi, anche quando mugugna il contrario, non smetterà mai di essere giornalista. Vero.