Può una vita diventare un libro? Sì, se, come nel caso di Giovanbattista Crisci, già maresciallo di Pubblica Sicurezza a Viareggio, la vita si è spesa tra avvenimenti tragici e clamorosi, attività esemplari, insigni riconoscimenti e spettacolari meriti sportivi. E poi se sei stato attore e testimone, serio professionista e sindacalista efficientissimo. E s’è meritato una medaglia d’oro al valor civile, una medaglia d’oro quale vittima del terrorismo, una medaglia di argento al valor militare, l’onorificenza di cavaliere ufficiale al merito della Repubblica, una stella d’oro al merito sportivo.
Ebbene, qualche tempo ha pubblicato “Un’alba vigliacca”, in cui racconta una delle pagine più brutte dell’Italia repubblicana anni ’70.
L’alba “vigliacca” in questione è quella del 22 ottobre 1975, in cui, sotto i colpi di due malfattori, furono uccisi in un casolare di Montiscendi (Pietrasanta, siamo in Toscana) tre agenti di pubblica sicurezza: Giovanni Mussi, Giuseppe Lombardi e Armando Fermiano, mentre un quarto, proprio Giovanbattista Crisci, fu seriamente ferito e ha lottato mesi tra la vita e la morte.
L’alba vigliacca è altrimenti conosciuta come “la strage di Querceta”, ancora oggi viva nella memoria della gente. Perché, innanzitutto, è stata un’esecuzione efferata, ma anche un caso militare e politico. Militare perché, gli agenti sono stati presi alla sprovvista da una reazione criminale e spietata. Politico perché uno dei malfattori, Massimo Battini, dopo la resa, in Tribunale, si proclamò prigioniero politico e si disse appartenere al gruppo “Lotta armata per il comunismo”.
Cosa è accaduto quella mattina? Una ventina di agenti (ma forse, secondo alcune ultime testimonianze, erano anche di più), allertati dalla notizia che in un casolare potessero esserci dei delinquenti (il giovanissimo Giuseppe Federigi e il pericolosissimo Massimo Battini, autori di furti e rapine), si appostarono e circondarono questo casolare dove abitava la famiglia Federigi. Crisci, assieme ai colleghi Mussi, Lombardi e Fermiano, entrarono nell’edificio e vennero affrontati dal Federigi appena svegliato, però ancora in mutande. Il giovane, con una mossa astuta, chiese loro il permesso di rientrare in camera per vestirsi. I poliziotti lo attesero, nessuno mise mano ad armi, poi spazientitisi del ritardo tentarono di entrare nella camera, ma da qui li raggiunse un’improvvisa sventagliata di mitra che non ha lasciato loro scampo. Dalla camera uscì Battini che, non contento della strage appena compiuta, infierì sui cadaveri e ferendo in modo gravissimo Crisci che era ancora illeso. Battini e Federigi, sempre sparando, uscirono poi nel cortile, ma qui furono circondati dagli altri poliziotti e finalmente presi.
La strage allibì un’intera Regione e, di rimbalzo, lo Stivale. L’Italia intera fu informata dai telegiornali. Erano anni durissimi, i fatidici “anni di piombo” ed altri servitori dello Stato erano caduti mentre svolgevano semplicemente il proprio lavoro. Sicché seguirono interminabili processi conclusi con condanne esemplari. Battini tuttavia, che si disse prima “prigioniero politico” poi “pentito”, nel Duemila se ne poté tornare a casa. Così, anche prima, Federigi.
Gli assassini sono stati processati e condannati inizialmente all’ergastolo. Poi, però, a seguito della Legge Gozzini del 1984, che dava benefici a chi si dissociava dalla lotta armata, la pena è scesa dapprima a 30 anni e infine a 20.