L’ultima puntata di questa strage si è consumata, se vogliamo, il 17 novembre.
Il dì della morte di Salvatore Riina, il grande imputato di quello che si è consumato.
Già, perché a 33 anni dal misfatto del rapido 904, la pagina non si è ancora chiusa. Lui, il già Capo dei capi, il boss dei corleonesi, era imputato come unico mandante, mentre i colpevoli (Giuseppe Calò, Giuseppe Misso, Alfonso Galeotta e Giulio Pirozzi) sono stati assicurati alla giustizia.
Quattro colpevoli. Un mix terribile tra Mafia e camorra.
Ma manca la mente di tutto. Che si pensa possa essere l’ei fu Toto u Curtu, anche perché indicato da alcuni collaboratori di giustizia, Giovanni Brusca in primis.
Riina, però, viene assolto già in primo grado nell’aprile 2015. L’accusa fa ricorso in appello ma accade che, a settembre, il processo di secondo grado sia da rifare perché il giudice incaricato è vicino al pensionamento.
Rapido 904, allora. È il 23 dicembre 1984, l’antivigilia di Natale.
Siamo a san Benedetto Val di Sambro, in Emilia Romagna. Il treno è pienissimo perché molta gente sta tornando a casa per le festività, ed è quello della tratta Milano-Napoli.
Qualche minuto dopo le 19, è colpito da un’esplosione violentissima nel momento in cui si trova a passare all’interno di una galleria, a pochi chilometri dalla grande Galleria dell’Appennino. Lo scoppio avviene a quasi metà della galleria, provoca un violento spostamento d’aria che frantuma tutti i finestrini e le porte. Causa 15 morti e 267 feriti, anche se il bollettino ufficiale è di 16 morti.
Perché esplode? Vi era una carica di esplosivo radiocomandata, posta su una griglia portabagagli del corridoio della nona carrozza di seconda classe.
La strage di Natale è compiuta. Un altro treno colpito, dieci anni dopo l’Italicus.
E, guarda caso, sempre a Val Di Sambro.
Giorgio Bocca scrive: “Che cosa è accaduto di nuovo nella Repubblica italiana in questi ultimi anni e mesi? È accaduto che la macchina democratica piano piano ha ricominciato a funzionare. Sono finiti in galera i golpisti della P2, i bancarottieri golpisti di Sindona, i generali ladri alla Giudice, i capi di servizi segreti pronti alle deviazioni. E sono stati inferti colpi duri alla mafia e alla camorra. In sostanza lo Stato democratico ha colpito duramente tutti gli alleati reali e potenziali dell’apparato repressivo. E questo incomincia a essere un motivo, se non dimostrabile in modo matematico, certo credibile a livello di politica repressiva. Al fondo di tutte queste storie sotterranee c’è sempre anche una ragione organizzativa. L’apparato a cui è “burocraticamente” affidato il compito di mantenere lo “status quo”, se sente crollare attorno a sè gli strumenti del suo controllo e del suo potere, può reagire alla sua maniera: feroce, irrazionale ma non priva di tragici effetti”.
Dalle indagini si capisce subito che è a piazzare l’esplosivo è stata la Mafia. E pure la Camorra. Già, ma perché? L’ipotesi più accreditata è quella che Cosa Nostra, con questa strage, voleva obbligare lo Stato ad allentare lo sforzo repressivo che aveva iniziato in Sicilia.
La metà degli anni ’80, infatti, è il periodo della nascita del Pool Antimafia, quella squadra di magistrati e giudici tutta dedicata a indagare sugli omicidi politici e non della criminalità organizzata. A capirne effettivamente la struttura. E come si muove. È il periodo anche dei primi eccellenti collaboratori di giustizia, Buscetta e Contorno in primis.
La mente dell’attacco al rapido 904 è Giuseppe detto Pippo Calò, che dal suo rifugio di Roma ha i contatti giusti per organizzare la micidiale connessione.