Nei giorni scorsi, la Rai ha fatto una cosa buona e giusta. Ha mandato in onda uno sceneggiato per ricordare quale bella figura sia stata quella di Giorgio Ambrosoli, in occasione dei 40 anni della sua morte per mano di un sicario del banchiere e faccendiere Michele Sindona, sul quale l’avvocato milanese stava indagando per capirne le attività illecite.
Prendendo spunto dalla bella iniziativa della nostrana televisione pubblica, eccola, allora, la rubrica di questa domenica, l’ultima prima del Santo Natale. Perché anche il Mezzogiorno, e la Puglia in particolare, ha avuto il suo Giorgio Ambrosoli, così come lo ha definito la giornalista del “Sole24ore” Rossella Orlandi in un articolo di quattro anni fa. Ed ex collega dell’”Ambrosoli meridionale”. In effetti, il paragone non è peregrino. Entrambi appartengono alla lunghissima lista, che gronderà sempre sangue, di vittime della criminalità organizzata. Tutti e due messi a tacere perché stavano cercando di scoperchiare l’immenso malaffare che li circondava ed era a due passi da loro.
Siamo a Foggia, allora. Qui, nel 1995, lavorava Francesco Marcone. Responsabile dell’ufficio del Registro del capoluogo dauno.
Un dipendente statale tutto d’un pezzo. Una vita dedita alla cura della propria famiglia e a quel suo lavoro al quale di consacrava alacremente e con un senso innato di giustizia. Quella giustizia, purtroppo, non proprio presente in tutti i suoi colleghi di lavoro.
È il 31 marzo 1995. La primavera ha da poco fatto capolino e le giornate, finalmente, cominciano ad allungarsi come si deve. Per Francesco, invece, la vita finisce qui. A soli 57 anni. Quel terribile giorno stava tornando dai figli e dalla moglie, dopo aver passato le ore, ma era il suo lavoro, a vagliare carte e prendere appunti.
All’improvviso due colpi secchi diretti alla nuca, partiti da una revolver calibro 38, ne hanno congelato per sempre passi e pensieri e tutto il resto. E sotto gli occhi attoniti della figlia dall’altra parte dell’androne di casa.
La domanda è semplice: perché? La risposta altrettanto facile. Aveva commesso l’errore (in realtà aveva fatto la cosa giusta, perché non aveva girato la testa dall’altra parte) di presentare, pochissimi giorni prima, un esposto alla procura della Repubblica per denunciare un giro di truffe, da parte di finti mediatori, che promettevano il disbrigo di pratiche d’ufficio sotto pagamento. E ha fatto anche un’altra cosa: appena scoperto il giro malavitoso di mazzette e di un numero altissimo di truffe, tanto più reiterate e redditizie, si era affrettato a far uscire un comunicato: “L’ufficio non si avvale di figure intermediarie ma provvede alle comunicazioni e alle notifiche direttamente ai soggetti interessati”.
Il suo gesto, le sue parole, il suo comportamento avevano fatto tanto rumore. Ed è inutile dire che ci aveva visto giusto. Tanto è vero che, nelle inchieste condotte dopo la morte, sono stati arrestati il direttore dell’ufficio Tributi di Foggia, e il direttore regionale delle Entrate per la Puglia. Su quest’ultimo, inoltre, era grande il sospetto che avesse favorito due imprenditori per evitare il pagamento di un’imposta di oltre due miliardi per la cessione di un’azienda sul cui terreno si sarebbero dovuti edificare palazzi.
Ma sulle inchieste dobbiamo soffermarci, però. Perché, nonostante ci siano stati negli anni un numero elevatissimo di avvisi di garanzia, il caso è stato definitivamente archiviato. Senza un mandante. Senza un volto e una mano che ha premuto il grilletto di quella revolver calibro 38.
È sempre la solita storia: in Italia ci sono cose che nessuno ci dirà.