La storia, anche questa, è di quelle terribili. E, ovviamente, come è malcostume, oscurata, messa da parte, taciuta, non pubblicizzata sui giornali dell’epoca. E chissà perché rientra nei libri degli eccidi occultati, volumi neanche poi così poco corposi. Ma che in altri manuali, quelli scolastici, non potremmo e potremo mai trovare.
Nonostante sia un’altra, ennesima, testimonianza della ferocia di un uomo verso un altro uomo. E per lo più a puntate. A tappe. Con la motivazione che erano dall’altra parte della barricata in una delle carneficine più assurde della storia. E del XX secolo.
Seconda guerra mondiale, allora. Siamo già nella seconda fase. L’Italia, da alleata-palla al piede tedesca è diventata cobelligerante con gli angloamericani. E sul suolo italico si sta stagliando, da un lato, una vera e propria guerra civile – fase partigiana, è stata ribattezzata – e la lotta senza quartiere agli invasori nazisti. Ed ecco, allora, in uno Stivale che man mano si libera sempre più, non mancano le esecuzioni sommarie, cadaveri che si ammassano e accatastano, agguati, fucilazioni, ed eccidi. Terribili.
Come quello di San Ruffillo. Alzi la mano chi conosce quest’altra pagina atroce di quel conflitto che ha cambiato per sempre il mondo.
Alba del 1945. Emilia Romagna. Dove, nonostante l’azione alleata era stata molto rapida, Bologna e le città vicine non erano state ancora evacuate dal piede straniero. Ebbene, nella città “rossa” vi era una piccola stazione, quella di San Ruffillo, abbandonata e danneggiata dai numerosi bombardamenti alleati che avevano prodotto nel terreno circostante ampi crateri.
Nessuno poteva pensare che quei crateri sarebbero diventati fosse e tombe partigiane. Di nostri fratelli italiani. Che, tra il febbraio e il marzo 1945, sono stati segretamente fucilati dalle SS tedesche.
Quante vittime? Oltre 90. Chi erano? Partigiani prelevati dal carcere giudiziario di San Giovanni in Monte, dove si trovavano perché arrestati o rastrellati a causa del loro impegno antifascista, della loro resistenza armata all’occupante nazista e al suo alleato di Salò. Provenivano sia dalle fila dalle brigate cittadine, sia dalle formazioni operanti in varie località della provincia.
Prigionieri politici, dunque. Chi li ha prelevati lo ha fatto con l’inganno – ma non dobbiamo stupirci – perché hanno lasciato intendere loro e ai loro parenti che sarebbero stati deportati o condotti a lavorare al fronte.
Il pensiero va a quei sei milioni di ebrei “portati” a lavorare nei campi di concentramento e uccisi senza pietà. E ai 58 partigiani uccisi nel dicembre 1944 sui colli di Sabbiuno di Paderno. Lo start del comando SS bolognese alla pratica di silenziosa eliminazione degli oppositori catturati.
Un primo gruppo di oltre 50 detenuti è stato prelevato e ucciso il 10 febbraio. Questa rappresenta una delle maggiori stragi di detenuti politici fra quelle avvenute durante l’intero periodo di occupazione tedesca in Italia, preceduta per entità solo dalle Fosse Ardeatine, i 67 internati di Fossoli e dai quasi 60 detenuti genovesi al Passo del Turchino.
Ma a san Ruffillo è diverso: il massacro del 10 febbraio è stato solo il primo fra quelli che hanno avuto come teatro la piccola stazione di periferia. Gli altri sono avvenuti il 20 febbraio, il 1, il 2, il 16 e il 21 marzo, per un totale di 94 vittime.
I cadaveri sono stati trovati neanche tre mesi dopo, nei primi giorni del maggio 1945, quando ci si è accorti di alcuni corpi affioranti dal terreno smosso da altre esplosioni. Come? Per caso, naturalmente. Per fortuna, osiamo dire. Perché di tante altre vittime innocenti non sono mai stati trovati i corpi.
Bologna, nel frattempo, era stata ufficialmente liberata il 21 aprile dello stesso anno.
Sessanta giorni dopo la prima puntata dell’eccidio.