Ha lasciato dietro di sé i corpi straziati di almeno 14 donne, abbandonate come rifiuti in stradine di campagna. Tutte strangolate o sgozzate, tutte fragili e sole. Ha colpito lungo un arco temporale di 18 anni, dal 1971 al 1989, sempre intorno a Udine e sempre di notte. Ma di lui per molto tempo non si è parlato (forse perché, in quegli anni, ha fatto più notizia un altro killer, quello di Firenze) e, lentamente, è diventato un’ombra inafferrabile.
Negli anni, ultimissimi anni, in realtà c’è stato anche un sospetto a un passo dall’essere incastrato ma alla fine del “mostro di Udine” è rimasta traccia solo negli archivi polverosi dei tribunali e dei giornali. Un serial killer “dimenticato”, rimasto sempre ai margini rispetto ai grandi casi di cronaca. Forse proprio perché ai margini della società vivevano le sue vittime.
È tornato alla ribalta un paio di mesi fa, perché Sky ne ha realizzato una serie Tv in quattro puntate con la quale, grazie a investigatori dell’epoca e a reperti nuovi trovati da una penalista, hanno tentato di dare nome e cognome, ottenendo comunque che la procura (ri)aprisse un fascicolo a carico di ignoti e ha deciso che ad analizzare i nuovi reperti sia il Ris (Reparto investigazioni scientifiche dei carabinieri) di Parma.
Innanzitutto, però, ha sottolineato quello che è stato. La crudeltà che è stata consumata. Le vittime sono state donne vulnerabili ed emarginate che, a parte un caso specifico, si prostituivano e avevano problemi di alcol o droga. Almeno nove delitti presentano delle similitudini importanti: Irene Belletti (assassinata il 21 settembre 1971); Maria Luisa Bernardo (uccisa il 21 settembre 1976); Jaqueline Brechbuhler (morta il 29 settembre 1979); Maria Carla Bellone (uccisa il 16 febbraio 1980); Luana Giamporcaro (ammazzata il 24 gennaio 1983); Maria Bucovaz (assassinata il 22 maggio 1984); Stojanna Joksimovic (29 dicembre 1984); Aurelia Januschewitz (3 marzo 1985); Marina Lepre (26 febbraio 1989). Tutte persone che non potevano lasciare tracce – hanno raccontato ai giornali coloro che hanno lavorato a questi omicidi efferati – perché si muovevano nella notte e senza appuntamenti presi in precedenza.
C’è di più, inoltre: in almeno quattro casi l’assassino ha infierito sul corpo delle vittime seguendo una sorta di rituale (una lunga incisione a forma di “S” sul ventre e molte ferite al collo e alla gola), ripetuto nel tempo e con modalità tali da far pensare si trattasse di un uomo che conosceva bene l’anatomia e avesse dunque alle spalle studi universitari.
E a rendere tutto più difficile anche un altro dettaglio non da poco. I mezzi dell’epoca, del tutto arcaici rispetto agli odierni. Quelli, infatti, erano anni in cui non esistevano intercettazioni telefoniche, telecamere o strumenti simili.