Papa Francesco ha pensato a lui già pochi mesi dopo la sua elezione a nuovo vescovo di Roma. Era il 28 marzo 2013, e l’uomo venuto quasi dalla fine del mondo ha firmato il decreto per farlo diventare beato.
E così facendo, allora, Rolando Rivi, dal 5 ottobre dello stesso anno, vede concluso il processo di beatificazione iniziato otto anni prima.
Nonostante la giovanissima età. Anzi, proprio per la tenerissima primavera nella quale è stato strappato alla vita.
La sua vita, infatti, è durata soltanto 14 anni. Tutta colpa di un gruppo appartenente alle brigate garibaldine che lo ha prima torturato, poi ucciso, e quindi, non contento, hanno usato la tonaca nera per farne un pallone da calcio e poi appenderla come un trofeo. In odium fidei.
Già, la tonaca nera. Quasi la seconda pelle di questo coraggioso giovanotto in un periodo terribile per la nostra storia, e che lo ha reso un cristiano adulto, responsabile e maturo nonostante fosse, all’anagrafe, soltanto un bambino.
Ma con le idee chiarissime. Nato in un Comune del reggino nel 1931 da una famiglia semplice ma molto molto molto devota, subito dopo la Cresima matura la vocazione e chiede di entrare in seminario. Perché ha un sogno. Vuole diventare missionario ed entra in seminario. È il 1942. Dopo due anni, quella zona diventa a controllo dei tedeschi, è segnata dalle incursioni naziste e partigiane, i sacerdoti sono malvisti e rischiano ogni giorno la pelle. Siamo nel cosiddetto “triangolo della morte”, area in cui i crimini commessi dai “rossi” faranno i conti completi con l’opinione pubblica solo dopo il famoso “chi sa parli” lanciato negli anni ’80 dall’ex partigiano reggiano Otello Montanari.
Rolando, allora, è costretto a riprendere la vita di prima. Gli studi, i giochi con gli amici, la parrocchia. Ma non si vuole togliere l’abito.
E si arriva così al 10 aprile 1945. Decide di andare nel bosco a studiare, ma a sera i genitori non lo vedono rientrare. Lo cercano, lui non c’è. Vi sono soltanto i suoi libri e un biglietto lasciato dai partigiani, in cui si dice di non cercarlo.
Che fine ha fatto? È stato sequestrato, portato in un casale nell’Appennino modenese, torturato per tre giorni e infine ucciso, il 13 aprile, alle tre del pomeriggio. Prima di morire, ha chiesto di pregare per mamma e papà.
Aveva soltanto spento 14 candeline.
Gli assassini, due membri della Brigata Garibaldi, sono stati condannati a 22 anni di carcere, ma grazie all’Amnistia Togliatti dietro le sbarre ne hanno trascorsi soltanto sei.
Nel 2006, a 60 anni dalla morte, è iniziato il processo di canonizzazione, conclusosi nel 2013.