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Home » A spasso con la Storia/Il partigiano comunista graziato per crimini di guerra. Il “curioso” caso di Francesco Moranino

A spasso con la Storia/Il partigiano comunista graziato per crimini di guerra. Il “curioso” caso di Francesco Moranino

Si è reso protagonista, nel 1944, della famosissima strage della missione Strassera, uccidendo sette persone

La Redazione by La Redazione
11 Gennaio 2019
in Cultura e Spettacolo
A spasso con la Storia/Il partigiano comunista graziato per crimini di guerra. Il “curioso” caso di Francesco Moranino
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Ancora oggi, nel pronunciare il suo nome, gli appassionati di politica rievocano e riecheggiano un caso per certi versi “incredibile”.

Una pagina per lo meno poco chiara della storia italiana del dopoguerra, e che ancora si fa fatica a comprendere a fondo e soprattutto il perché sia accaduta.

Eccolo, allora. Francesco Moranino. Il famoso comandante “Gemisto”. Il comunista doc. Il partigiano. Il deputato. Ma, soprattutto, graziato per gli omicidi per la cosiddetta “missione Strassera”. La terribile missione Strassera.

È chiaro, allora. Questo personaggio nato a Tollegno, nel biellese nel 1920, è un mix di tanti ingredienti che rendono questo Paese per lo meno bizzarro.

 

 

Inizia a far parlare di sé nel 1940, quando si iscrive al Partito comunista clandestino ma è presto arrestato finendo davanti al tribunale speciale che lo condanna a 12 anni di reclusione. In realtà ne sconterà soltanto un paio, perché alla caduta del fascismo organizza le prime formazioni partigiane nel biellese, la sua terra d’origine, e lui si farà conoscere con il nome di comandante “Gemisto”.

Anno fondamentale per la sua vita è il 1944, soprattutto per come è proseguita la sua vita. Insieme ad altri quattro partigiani non ha pietà alcuna a fucilare cinque suoi “compagni” ma di diverso colore politico in quella che è passata alla storia come strage alla missione Strassera. Sì, avete capito bene. Partigiani che uccidono altri partigiani soltanto perché accusati di essere spie nazifasciste. E, come se non bastasse, nell’infame agguato muoiono anche due compagne delle vittime. Che, a conti fatti, sono sette.

Il sangue dei vinti lo ha chiamato qualche rilevante storico e pure giornalista.

A guerra finita, inizia la sua folgorante carriera politica. Eccola: segretario della Federazione comunista biellese e valsesiana. Eletto nel 1946 deputato alla Costituente. Sottosegretario alla Difesa nel terzo governo De Gasperi, rieletto deputato nel 1948. Nel 1951 diventa segretario della Federazione mondiale della gioventù democratica.

Qui, però, qualcosa si inceppa e la storia della sua vita cambia prendendo binari talmente strani e oscuri sui quali ancora oggi non si è fatta luce. Grazie alla caparbietà e alle indagini condotte dalle famiglie dei partigiani uccisi, la magistratura inizia a rendere la vita difficile a Moranino, tanto che nel 1953 è incriminato per i fatti avvenuti durante la Resistenza.

Ma non è tutto, perché nel 1955, per la prima volta nella storia della Repubblica italiana e poi successo altre pochissime in realtà – il Parlamento italiano autorizza la procura di Torino a procedere nei suoi confronti. Va alla sbarra, quindi, ed è condannato all’ergastolo. Con questa sentenza: “Perfino la scelta degli esecutori dell’eccidio venne fatta tra i più delinquenti e sanguinari della formazione. Avvenuta la fucilazione, essi si buttarono sulle vittime depredandole di quanto avevano indosso. Nel percorso di ritorno si fermarono a banchettare in un’osteria e per l’impresa compiuta ricevettero in premio del denaro”.

 

C’è un problema, però. Il deputato è condannato in contumacia, perché scappa in Cecoslovacchia, all’epoca appartenente al chiarissimo blocco e dominio sovietico. E nel frattempo riceve le difese dell’Associazione nazionale partigiani d’Italia, che parla di fumus persecutionis della magistratura.

La storia non ha mai detto chi ha aveva ragione, ma ha scritto altre pagine, però. Facendo entrare in scena non uno ben due presidenti della Repubblica. Il primo è Giovanni Gronchi, che nel 1958 trasforma la pena in dieci anni di reclusione. Il secondo è Giuseppe Saragat, che nel 1965 concede addirittura la grazia al condannato, nel frattempo mai tornato dall’esilio volontario.

Perché questo gesto così eclatante? Lo ha spiegato Sergio Romano, editorialista de “Il Corriere della sera” qualche anno fa: “Giuseppe Saragat ha pagato un debito di riconoscenza al partito che aveva contribuito ad eleggerlo”. In effetti, l’ex ambasciatore in Unione sovietica non prende un abbaglio. Saragat era salito al Quirinale l’anno prima con i fondamentali voti del Partito comunista. Il classico baratto?

Il partigiano comunista rientra in Italia nel 1968, e fa in tempo a diventare senatore nel collegio di Vercelli.

 

Ci resterà tre anni, prima di essere vinto da un infarto.

 

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