Questa storia comincia da un incontro. Un incontro casuale che partorirà una serie di eventi singolari e tenebrosi. E che saranno pure al centro di un fortunatissimo film di Matteo Garrone: “L’imbalsamatore”, nel 2002.
I fatti, però, accadono, 16 anni prima.
Roma, estate 1986. Armando Lovaglio è un ragazzo di 17 anni che, dopo essere stato bocciato a scuola, decide di mettersi a cercare lavoro. Mentre consulta le offerte sui giornali, una in particolare cattura la sua attenzione: uno studio di tassidermia cerca un collaboratore.
Per lui è l’offerta giusta e non ci pensa due volte. Si presenta alla porta della “Igor Taxermist”, in via Castro Pretorio. Ad aprirgli è il titolare: Domenico Semeraro, un altro protagonista centrale di questa storia.
Alto circa 130 centimetri, 40 anni. Nato a Ostuni, Semeraro ha una storia particolare, caratterizzata da un’adolescenza difficile a causa della sua statura. Preso in giro dai coetanei e ignorato dalle ragazze, cresce sviluppando una mancanza d’affetto.
Proprio per questo motivo, in età adulta, cerca di colmare questo vuoto, e lo fa attorniandosi della presenza di giovani ragazzi, spesso soggiogati e succubi delle sue ottime capacità oratorie, anche se non mancano anche altri mezzi perché talvolta li attira in cambio di qualche regalo, oppure con qualche minaccia.
Armando è subito assunto, comincia a lavorare e, soprattutto, il rapporto con il datore di lavoro non ha problemi. Anzi, giorno dopo giorno, diventa sempre più profondo e sfocia in rapporti sessuali.
Tutto procede fino al 1988, quando qualcosa cambia. Entra in scena un altro protagonista. Fondamentale. Michela Palazzini, di anni 18. Chi è? È la segretaria che lo stesso Domenico ha assunto per l’ufficio.
Qualche mese dopo, l’ultima arrivata scoprirà di essere incinta di Armando, con cui ha avviato fin da subito una relazione, e a questo punto Domenico è soltanto un ostacolo.
Le cose ben presto precipitano perché il “nano di Termini”, alias Domenico, non ha alcuna intenzione di farsi da parte, usa atteggiamenti aggressivi, foto compromettenti, ed è sempre morbosamente legato ad Armando. E nulla lo scalfisce, neanche la nascita della bambina nel 1990.
Il 25 aprile di quell’anno è il dì della resa dei conti. Il calendario ci ricorda che si festeggia la Liberazione dal nazifascismo. Per i due giovani è la fine (parziale) di un incubo.
C’è una ennesima discussione tra i tre, e al termine Armando strangola con un foulard il datore di lavoro, uccidendolo.
Si sbarazzano del cadavere chiudendolo in un sacco e gettandolo in una discarica.
Fine delle trasmissioni? Per nulla. L’indomani, il corpo è rinvenuto e ben presto si scopre come sono andate le cose. Nel 1993 parte il processo, che condannerà Armando a 15 anni di reclusione e Michela uno soltanto.
La conclusione più triste di una storia buia e cupa.