Mentre è ufficialmente partita la nuova stagione calcistica, gli amanti del calcio e del pallone italico non possono dimenticare quello che è successo 30 anni fa.
Era la stagione 1989-90. Un’altra era pallonara fa. Il calcio dello Stivale era davvero senza rivali, il più importante del mondo, i soldi non mancavano tanto che è questa l’epoca dei primi acquisti altisonanti, c’era il limite di tre stranieri in ogni squadra, e ogni anno si portava a casa una o più coppe europee. Basta un dato per capirlo: dal 1989 al 1998 – fatta eccezione per il 1991 -, le finali di Coppa Campioni hanno visto sempre una compagine italiana tra le protagoniste (leggasi Sampdoria, Milan e Juventus).
Quella stagione, poi, avrebbe avuto l’appendice con i Mondiali di calcio proprio nel Belpaese.
Ai nastri di partenza abbiamo il Milan degli olandesi Rijkaard, Gullit e Van Basten (campioni d’Europa con gli “orange” nel 1988). Il Napoli, Maradona e Careca. L’Inter, campione d’Italia in carica, con i tedeschi Klinsmann, Matthaus e Brehme, la Fiorentina ha sempre il codino Roberto Baggio, la Sampdoria Vialli e Mancini, mentre la Juventus è meno scintillante ma è pur sempre la squadra più titolata.
La corsa al tricolore è un affare sull’asse Milano-Napoli, con una sfida tra i rossoneri e i campani. Ma a decidere quella stagione, davvero indimenticabile per alcuni episodi, è stato un gregario non giocatore. Si chiama Salvatore Carmando, protagonista di una storia di calcio avvolta nel mistero e che ha reso il Campionato davvero pieno di veleni. Anche per molti anni a seguire.
Siamo all’8 aprile 1990. Trentesima giornata. Ne mancano quattro alla bandiera a scacchi. Il Milan è in testa con un punto di vantaggio sul Napoli, e quella domenica la capolista è impegnata a Bologna, i primi inseguitori a Bergamo contro l’Atalanta. Ed è proprio in casa degli orobici che accade qualcosa di strano.
Il punteggio è ancora a reti inviolate ma al 75? accade che Alemao, centrocampista partenopeo, è colpito da una monetina lanciata dagli spalti chissà da chi. Ed è in questo frangente che entra in scena il massaggiatore Carmando, perché ha un lampo di genio e di furbizia. Lascia la panchina, attraversa il campo e si reca proprio dal compagno di squadra dicendogli qualcosa, ma cosa non si sa (forse “stai giù?”), e questo perché sa benissimo che, stando al regolamento, se un calciatore è costretto a lasciare il campo in seguito ad atti violenti commessi dai tifosi, la squadra che ha subito il danno può ottenere lo 0-2 dal Giudice sportivo. Ergo, vittoria a tavolino.
A fine partita, succede di tutto e la vicenda si protrae per giorni. La ferita alla testa c’è, Alemao raggiunge l’ospedale, dove è trattenuto per verificare eventuali traumi e per ulteriori accertamenti. La partita finisce 0-0, e il Napoli fa ricorso al Giudice sportivo. Accolto, naturalmente. La vittoria è campana, dunque, e Milan raggiunto in vetta perché bloccato 0-0 a Bologna (all’epoca, è bene ricordarlo, erano assegnati due punti per ogni vittoria).
Ma i misteri di quella stagione non sono ancora finiti. Due domeniche dopo, è il 22 aprile, le capoliste sono ancora appaiate e il rischio di uno spareggio è concretissimo.
Succede, però, che il Milan perde a Verona ridotto in otto uomini per colpa di tre espulsioni nella ripresa e mentre era in vantaggio, il Napoli passa a Bologna e si porta da solo in testa a 90 minuti dal termine del Campionato. Che conquisterà, ovviamente, la domenica successiva.
Franco Baresi e compagni si “consoleranno” alzando la Coppa Campioni nella finale contro il Benfica a Vienna qualche settimana dopo.
Ma quello Scudetto perso così, in quel modo, grida ancora rabbia e delusione. Perchè vincere il triangolino tricolore, in quegli anni d’oro, era molto più difficile rispetto a una coppa europea.