Questa che state per leggere potrebbe sembrare una storia inventata, ma in realtà non lo è.
Ha per protagonisti tre attori: una donna, una Cooperativa e un gatto.
Succede, infatti, che la donna salva il gatto da morte sicura portandolo prima nella struttura e poi consegnandolo alla nipote di una paziente. All’azienda tutto ciò non sta bene, e decide di sospenderla prima e licenziarla senza preavviso poi.
No, non è fantascienza.
I fatti. Tutto inizia il 9 maggio, allorché Patrizia Antonino, 43enne barese ma residente a Bitonto, dipendente da quasi cinque anni con la mansione di Operatore socio-sanitario (Os) ma non solo, per una cooperativa che si occupa di malati di Alzheimer con un contratto part-time a tempo indeterminato, si reca, nel primo pomeriggio, nel Centro diurno della struttura dove è in programma una riunione d’equipe. Al di fuori della stessa, la donna trova una scatola con all’interno un gattino di pochi giorni, abbandonato e visibilmente malnutrito, e decide di portarlo nel Centro. Alla sua vista, la vicecoordinatrice del Centro chiede alla dipendente di riportarlo dove lo aveva trovato in quanto non poteva giacere lì. E così avviene.
Qualche minuto dopo, Antonino inizia il suo turno di lavoro (quel giorno accompagna, in pullmino, i malati di Alzheimer alle loro abitazioni) e, durante il viaggio, si accorge che il piccolo felino era saltato via dalla scatola e stava attraversando la strada proprio mentre sta per sopraggiungere il mezzo da lei guidato. Per non investirlo – e per evitare anche l’accusa di omissione di soccorso di animali – la donna scende, lo rimette nella scatola e, su esplicita richiesta dei pazienti ancora a bordo preoccupati per la sua sorte, decide di caricarlo sul mezzo, posizionandolo in modo tale che nessuno potesse avvicinarsi a lui.
Tra i pazienti più preoccupati vi è una in particolare, che durante il trasporto ha più volte chiesto di potere tenere con sé il gatto, ma Antonino più volte le spiega che questo non è possibile.
Una volta arrivati al domicilio di questa signora, arriva la nipote a prenderla e a questa Antonino riferisce l’esplicita richiesta della nonna di volere il felino e la ragazza, consapevole di farla felice, lo prende in consegna e riferisce che sarebbe stata lei a curarlo, anche perché aveva altri gatti nel giardino dell’abitazione della nonna.
La sospensione dal lavoro. Sembra una bella storia, ma in realtà Patrizia Antonino non sa che quel 9 maggio sarà il suo ultimo giorno di lavoro.
Dall’11 al 18 maggio, infatti, la donna è in ferie, ma il 15 maggio riceve una lettera dalla cooperativa con la quale le si comunica una “contestazione disciplinare ex art. 7 legge 300/70”. Che significa? La struttura, dando la sua versione dei fatti – in alcune parti difforme rispetto a quella data dalla dipendente – “vista la gravità del suo comportamento, il potenziale pericolo cagionato alla paziente”, decide per la “sospensione cautelare dal servizio”, e la invita a fornire giustificazioni. Lei lo fa tramite il suo legale due giorni dopo, il 17 maggio.
Audizione e licenziamento. Il 23 maggio, allora, avviene un’audizione nella quale la donna ripete la sua versione dei fatti e le sue giustificazioni, ma all’azienda non basta.
Qualche giorno dopo, infatti, il 30 maggio, la Cooperativa le comunica “il licenziamento senza preavviso, in applicazione delle vigenti previsioni normative di rango legislativo e contrattuale”.
Questo perché – fa sapere la struttura nell’apposita nota – “all’esito dell’attenta valutazione dei contenuti della Sua nota (quella del 17 maggio, ndr) – non può che riconfermarsi la gravità della condotta da Lei osservata”.
Dal 1°giugno, allora, Patrizia Antonino è senza lavoro.
“Lotterò per avere quello che mi spetta”. La donna, non sposata e che deve accudire la mamma 84enne con alcuni importanti problemi di salute, non ci sta, e ha già impugnato la lettera di licenziamento.
“La cooperativa – spiega ai nostri taccuini – ha 270 giorni di tempo per rispondere, ma è chiaro che sono pronta ad andare fino in fondo a questa questione, davvero assurda. Lo rifarei? Assolutamente sì”.
Poi, però, rivela altri scenari: “La verità è che questa storia è solo un pretesto, perché è da due anni che il mio rapporto con la coordinatrice della struttura non è per nulla buono”.