No, non era un esercizio commerciale come tutti gli altri.
Era una wunderkammer, una camera delle meraviglie, un tunnel infinito pieno zeppo di segreti, scaffalature gigantesche, scale d’ogni foggia che ti davano l’idea d’infinito nel finito, scatole tintinnanti e oggetti vari, che avevano un potere miracoloso: risolvere tutti i guai, grandi e piccoli, che sorgevano in casa. In quel labirinto di lampadine, colori e vitichiavinglesibulloni e chissà cos’altro, mi perdevo incantato.
Ma non era solo il mio dedalo misterioso prediletto – andarci per me era un’avventura entusiasmante-, era un autentico punto di riferimento (e di “salvezza”) per tutti i residenti del centro storico, ma tantissimi venivano anche dal resto della città. Era il “Ferramenta” per eccellenza: Mancazzo.
Peppino, il titolare, aveva occhiali grandi che, forse, gli servivano per capire i problemi degli altri e trovarne le adeguate soluzioni.
Aveva un sorriso buono per tutti.
Era amico di mio padre, col quale dialogava, spesso con pungente ironia, delle vicissitudini di tutti i giorni, mai mascherando una giusta fierezza per i suoi pargoli che diventavano uomini.
Chi viveva nei pressi della Cattedrale, ebbe già un momento di disorientamento quando Michele, il ragazzo che da Peppino aveva imparato il mestiere (già, un tempo capitava proprio così), portò il tutto sull’estramurale.
Ieri, su quella saracinesca grigia e serrata, c’era emblematico il manifesto col sorriso buono di Peppino Mancazzo, che s’è portato a novant’anni un pezzo consistente della storia bitontina.
E chissà che non ci sia ancora, nascosta da qualche parte in quella fascinosa, chiaroscurale burella, la soluzione ai problemi della nostra Bitonto.