Ci siamo quasi. Domenica prossima, 4 dicembre, gli italiani saranno chiamati ad esprimersi sulla Riforma
costituzionale voluta dal Governo Renzi. Per offrire a voi lettori uno
strumento in più affinché il voto sia il più possibile consapevole, ecco quali
sono le ragioni del Sì e quali
quelle del No.
Iniziamo dalle motivazioni a sostegno della
riforma. Il superamento del
bicameralismo perfetto, dicono i favorevoli, servirà per rendere l’attività
legislativa svolta dal Parlamento più celere ed efficiente, cosa che non
permetterebbe l’attuale sistema bicamerale perfetto, con Camera dei Deputati e
Senato aventi funzioni quasi identiche, con leggi che, per entrare in vigore,
devono essere approvate da entrambe le Camere, per trovare un testo condiviso.
Questo non avverrebbe più se passasse la riforma. Sarà la Camera ad esprimersi
sulla gran parte delle materie e a deliberare, tranne che per alcune
determinate questioni. Il Senato avrà la possibilità di proporre modifiche
entro 40 giorni. Ma sarà sempre la Camera ad avere l’ultima parola e a dare la
fiducia all’esecutivo.
Il Senato, invece, sarà chiamato a rappresentare
le istanze di Comuni e Regioni.
I favorevoli sostengono che, con la riforma
costituzionale, i rapporti tra Stato ed
enti locali saranno semplificati e meno conflittuali, grazie all’eliminazione
delle competenze concorrenti, che permetterà ad ogni livello di governo di avere
le proprie funzioni legislative. Si eviterà, in tal modo, un problema che
avrebbe ingolfato per anni gli iter legislativi. Materie come le grandi reti di
trasporto, la produzione e la distribuzione dell’energia, saranno di competenza
statale, mentre alle Regioni sarà data competenza per organizzazione sanitaria,
turismo, sviluppo economico locale, oltre ad eventuali altre questioni che
potranno essere delegate.
Argomento a sostegno del Sì è anche il superamento dell’instabilità che ha
caratterizzato diversi governi negli ultimi decenni, a causa della
formazione di Camere a maggioranza diversa.
La nuova conformazione del Senato permetterà
anche a Comuni e Regioni di essere maggiormente rappresentati in Parlamento, e
quindi nei processi legislativi, e nelle istituzioni europee, attraverso i
sindaci e i consiglieri regionali che ne faranno parte.
Il ridotto numero dei senatori, che passeranno
dagli attuali 315 a 100 (compresi i
cinque nominati dal Capo dello Stato per meriti particolari) e l’abolizione del Cnel (Consiglio
nazionale dell’economia e del lavoro), serviranno, secondo i “riformisti”, a ridurre il costo degli apparati politici.
I senatori infatti, oltre ad essere numericamente inferiori, non percepiranno
alcuna indennità oltre a quella destinata agli amministratori locali.
Infine scopo della riforma è anche aumentare le possibilità di partecipazione
dei cittadini, obbligando il Parlamento a discutere i disegni di leggi di
iniziativa popolare proposti da 150mila cittadini, introducendo i referendum
propositivi e d’indirizzo e abbassando il quorum per la validità di quelli
abrogativi (non più il 50% più uno degli aventi diritto al voto, ma degli
elettori alle precedenti elezioni politiche).