L’ultimo ricordo di Istanbul è una grigliata di palamiti consumata su un tavolino di plastica, con tovaglie di carta, giù al porto.
E gatti tutt’intorno, e fumo penetrante di pesce, e suono di tutte le lingue del mediterraneo che mi rotolano intorno.
Poi ci sono altri ricordi.
È come uno scambio.
Tu ci lasci un pezzo di cuore, in un posto che hai amato e quel posto ti ricompensa caricando il tuo bagaglio di viaggiatore con frammenti di qualcosa da portare con te.
Per sempre.
È la memoria del cuore fatta di colori, e di nomi di strade e profumi di chioschetti all’aria aperta e bellezza, tanta bellezza.
Il profumo delle spezie dei bazar e l’odore acre del sudore, la cupola della moschea Blu al tramonto, l’odore del Bosforo e il succo di melograno e i pezzi di mais arrostito tra i denti, le caldarroste fuori dal palazzo Topkapi e la fragranza del simit al sesamo e i mosaici, i minareti e i sorrisi sdentati dei vecchi venditori di chai.
La memoria del cuore, ieri, mi ha vomitato addosso tutto quello che di bello mi aveva regalato Istanbul per dimostrarmi che, si, ancora una volta, credo che contro la barbarie, solo il cuore può salvarci, solo la struggente consapevolezza che non è il tempo a cancellare le cose e certi episodi possono solo rafforzare i muscoli dell’anima.
Per regalarmi ancora una volta ricordi e profumi che non saranno mai cancellati nonostante il dolore della violenza e i brandelli di turisti in piazza Sultanahmet.
Spesso la gente mi chiede se io abbia paura di qualcosa quando viaggio.
Non ci penso, alla paura.
Però, una volta, ne ho già parlato, un mercante, in Cappadocia mi disse che tutto quello che arriva in Europa passa per la Turchia.
Quando viaggio non ho paura.
So che tutto quello che carico nel cuore lo porterò con me, ma se quel mercante aveva ragione di una cosa inizio ad avere realmente timore, e me ne vergogno quasi: di tornare a casa.
Il testo è tratto dal blog www.vostok100k.com