E’ dell’uomo saggio fare pubblica ammenda, quando compie un errore, e mettersi di buzzo buono per rimediare ad esso.
Purché sia stato compiuto in buona fede, lo sbaglio pensiamo sia meritevole di perdono.
Vediamo quel che è successo qualche giorno fa.
L’8 gennaio dovrebbe (condizionale triste, che poi vedrete confermato dai fatti) essere un giorno scolpito nella memoria collettiva della città.
E’ infatti il dì in cui ricorre l’anniversario dell’omicidio del bitontino Michele Tatulli, giovane agente di Polizia ammazzato a Milano insieme a due colleghi una gelida mattina del 1980.
Ora, sappiamo già che si leveranno pareri concordi o discordi sulla vicenda, a seconda delle simpatie politiche di ognuno – fa niente, siamo abituati anche a questo, in uno Stivale sì malconcio ed immedicabilmente lacerato -, noi che ci limitiamo ai documenti, riferiamo solo che nel referto autoptico di quei giorni il professore incaricato dell’esame scrisse che una pallottola (con tutta probabilità, stando agli esiti del’iter processuale, esplosa dalla pistola impugnata da Barbara Balzerani, persino ospite della nostra accogliente città) aveva spaccato il cuore di Michele, oltre alla grandinata di colpi che lo aveva raggiunto. Punto.
Lasciamo a più dotte disquisizioni, di cui noi non siamo affatto capaci, tutta la congerie di “servi dello Stato e non servitori”, “simboli del Sim, sistema imperialistico delle multinazionali“, “ma loro incarnavano il Potere assassino“…
Dunque, in occasione della – per noi, da sempre, sin da quel giorno piovoso e triste – fondamentale ricorrenza, ci aspettavamo un segnale che tenesse in vita il ricordo di quella morte atroce e assurda.
Nulla vedendo – non un manifesto, una locandina, un comunicato stampa -, ci siamo permessi di chiedere noi scusa a Michele (notare bene: noi) con un articolo.
Poi risultato errato perché in realtà la cerimonia si era tenuta nell’atrio del Palazzo di Città, con tanto di istituzioni presenti.
Per riparare alla colpevole amnesia, abbiamo subito vergato un nuovo pezzo che ne parlasse.
Ma, allora, perché non far sapere a tutti i bitontini che sicuramente avrebbero voluto partecipare per far sentire la propria vicinanza ai famigliari del poliziotto?
Come si può sperare di alimentare la memoria collettiva, se la città non sa nulla d’un evento che dovrebbe incarnarla e corroborarla?