Finiti gli ultimi regali, i caffè con gli amici per gli auguri di Natale in piccolo anticipo, sono restata sola per strada alla ricerca di un segno.
Qualcosa che mi parlasse di Natale nel cuore.
E tra i baci e le tenerezze tipiche delle festività, qualche luce, cercavo la natività.
Sul Corso nulla, Cattedrale ancora chiusa e così ho trovato quel che cercavo nella mia parrocchia di San Francesco.
Il silenzio.
La solitudine.
Quello che fa più paura.
Paura di esseri felici per la malinconia e le lacrime che scivolano lente.
Ed ecco la Madonna che attende come quella signora che incontrai giorni fa su via Repubblica che non conosceva la strada del sostituto del medico curante e le lacrime si accavallavano alla disperazione.
Durante quel piccolo tratto di strada insieme le preoccupazioni per le bollette, le tasse e per i pochi spiccioli della pensione.
San Giuseppe.
Il bastone, un po’ anziano, lo vedo in quel nonno incontrato durante una recita all’Auditorium che affaticato saliva il passeggino della nipotina – una dolcissima bimba dai riccioli biondi come un angelo – e vedendomi in cima alle scale mi fa “Cosa fanno i nonni per i propri pargoli”.
Generosità, pazienza e immenso amore come per un figlio.
Gli animali, il bue, l’asinello, le pecorelle: le ho viste nelle parole tristi del mio amico (e di chissà quanti) ha perso la sua volpina Bianca nel cane randagio che solitamente bazzica vicino casa che spaventato dai botti si era nascosto dietro la porta della farmacia di turno…
E il bambino… quel che arriva?
Mah, non so.
Forse, come si dice nel nostro video augurale (http://www.youtube.com/watch?v=e4I4ppLbIjc&feature=c4-feed-u&app=desktop) dovremmo recuperare il Bambino nel cuore di ciascuno di noi scrostando tutto ciò che di cattivo facciamo durante la giornata.
Negli atti di presunzione, disobbedienza, infedeltà, maleducazione, arroganza, permalosità e chi più ne ha più ne metta.
Così spero che ieri dopo aver posto il neonato Salvatore nella mangiatoia abbiate mangiato i nostri “cìcere frìtte, féufe, carteddéute, / semménde, pestàzze e calzengìidde, / chiachìune, castàgne e pecciuatìidde.
Che abbiate giocato a “la tòmbele, u mazzétte, / re grànne a chèrra vànne pu tréssétte, / re nùmbre acchemegghiéute che re lendècchie / re scórze du marànge e re cecèrchie”.
Perché Natale è Natale sempre.
Tra la polvere e gli anfratti dei nostri ricordi e della nostra meravigliosa tradizione:
“Natéule de tànne, de mòue, de sémbe, / Natéule du povrìdde e du poténde, / Natéule de quànne Dómene Ddóje / jìnde a na stàdde scènne velóje / pe ddóice a tùtte r’aggénde du mùnne: / “Grànne jè ‘ngìile ci ‘ndèrre jè menùnne”/ e a ci jè vécchie e streppiéute: / “Nàn sì chiù sìule, mòue, sìme fréute!”.
Faccio gli auguri a tutta la mia famiglia, ai miei amici – vicini e lontani – e a tutti voi, nostri affezionatissimi lettori.
Vi abbracciamo, uno per uno.
Ringrazio, infine, Michele Muschitiello per narrare sempre con la nostra lingua madre e ricordarci chi siamo.
Bitontini un po’ strani, ma ad ogni modo speciali.