Nel 1977 veniva promulgata la legge n. 517, vale a dire la formalizzazione di una delle conquiste più importanti della scuola italiana: l’integrazione nelle normali classi degli alunni con disabilità. Una conquista che ha dato alle famiglie, agli alunni e alla stessa scuola contenuti, opportunità e approcci nuovi, che hanno cambiato modi di insegnare, di educare e, soprattutto, una nuova prospettiva culturale nei confronti delle persone con disabilità. Le positive conquiste hanno migliorato la scuola e la società civile e tale processo, a volte con forti spinte in avanti e a volte con qualche passo all’indietro, ha dato a questi trent’anni senso e motivazione al lavoro di tanti operatori scolastici.
Ancora oggi incontro persone, della più svariata caratura intellettuale, che non capiscono il continuo cambiamento che questa problematica comporta. Ad esempio, nel giro di pochi anni, siamo passati attraverso una trasformazione, anche terminologica, della parola handicap.
Handicap metteva in evidenza la menomazione che una persona subiva negli atti di vita quotidiana, tralasciando le qualità e le residue abilità, a volte notevoli, della persona medesima.
Ecco che si è pensato di andare oltre e di porre l’accento sulle possibilità di crescita e capacità di queste persone. Il bisogno di integrarle e di non emarginarle ha portato gli organismi internazionali (l’O.M.S.-Organizzazione Mondiale della Sanità) a modificare i termini con cui venivano individuate. Per questi motivi con la parola disabile si è posto in risalto le diverse abilità, che queste menomazioni sviluppavano sulle persone.
A molti potrà sembrare un discorso ripetitivo, già sentito e per questo vacuo, ma l’ottusa mentalità imperante, mi spinge a ricordare l’evoluzione della stessa percezione delle persone affette da menomazioni. L’evoluzione linguistica deve inevitabilmente seguire, a volte anticipare e correggere, un sbagliato pregiudizio. Mi sono recentemente scontrato con persone che non capivano perché bisognasse indicarle come persone con disabilità.
Una spiegazione andava data a chi continua a pensare che la sostanza non cambia. Vale a dire, sempre menomati sono! Senza ricordare gli scienziati Hawkins o Frisone, allarghiamo gli orizzonti mentali e pensiamo a cosa possono donarci queste personalità.
Tornando al mio pane quotidiano, qual è la funzione primaria della scuola nei confronti degli alunni con disabilità?
La l. 104/92 ci dice che “l’integrazione scolastica ha come obiettivo lo sviluppo delle potenzialità della persona handicappata nell’apprendimento, nella comunicazione, nelle relazioni e nella socializzazione” (art. 12, c. 3).
La scuola, quindi, per suo mandato istituzionale, è tenuta a offrire all’alunno disabile un’opportunità forte per contribuire alla costruzione del suo benessere e garantire non solo l’istruzione, ma anche la “piena formazione della personalità degli alunni” (art. 4,l. 517/97) attraverso relazioni umane e sociali, che aiutino a sviluppare la personalità complessiva della persona. E come accennavo prima, ad arricchire il mondo dei cd normodotati e ad insegnare la tolleranza.
Conseguentemente, occorre ricordare che anche gli alunni con gravi difficoltà di apprendimento e di adattamento, hanno diritto a vedere sviluppate dall’istituzione scolastica le proprie potenzialità conoscitive, operative e relazionali, naturalmente secondo personali ritmi di crescita e attraverso la strutturazione di finalizzati interventi di socializzazione e di apprendimento.
Ne deriva che, per affrontare questa vasta problematica, ha l’importante ruolo di indirizzo e guida, per arricchire il mondo dei cd normodotati e contribuire alla costruzione di una società tollerante.