Ho scoperto da un paio di settimane di essere capitato per motivi di servizio – una quasi trentennale militanza nella Pubblica Amministrazione statale – nella provincia italiana eletta dal Sole 24 ORE per l’anno 2024 come la peggiore per qualità di vita.
In verità, posso dire che dal mio arrivo, datato 23 settembre scorso, non me ne sono accorto. Tra l’altro, a pochi giorni di distanza dalla pubblicazione della graduatoria che condannava la provincia reggina senza appello, la Rai ha organizzato sul lungomare di Reggio Calabria, definito il kilometro più bello d’Italia, il concertone di fine anno, proiettando nelle case degli italiani le spettacolari immagini di una città affacciata al suo Stretto, con la cornice siciliana sullo sfondo. Le stesse persone che qualche giorno prima mi chiamavano solidali per la triste destinazione professionale, qualche giorno dopo mi hanno richiamato per ricredersi.
Lo stesso Sindaco reggino Falcomatà, nello scambio di auguri prenatalizi, mi è parso amareggiato come uno studente che ha preso un brutto voto a scuola dopo tanto studio.
Ma, per rendersene conto, basta leggere la classifica che mette Reggio all’ultimo posto nei servizi e ambiente, posizione 103 in affari e lavoro, 96 in demografia e società, 96 anche in cultura e tempo libero. Le strade sono dissestate e piene di buche, alcuni ospedali salvati dai medici cubani mentre i reggini vanno a curarsi al Nord, i servizi pubblici approssimativi, i trasporti inesistenti. Ma basta tutto questo per sentirsi più dalla parte del continente africano che all’estremità dello stivale italiota? Personalmente, penso che la qualità della vita sia un qualcosa di più soggettivo, un sentimento, una percezione che vada ben aldilà della summa degli indicatori statistici utilizzati dal noto quotidiano; penso che la qualità della vita derivi dal rapporto di empatia che l’individuo riesce ad instaurare con un territorio, con la sua gente, le sue tradizioni, anche culinarie. Se è così, amare Reggio Calabria e il suo territorio è inevitabile. Entrare al Museo Nazionale, contemplare per qualche minuto i Bronzi di Riace, visitare le altre stanze che raccontano gli insediamenti e la civiltà della Magna Grecia, poi uscire, prendere una brioche appena sfornata piena di gelato al chiosco di Cesare e gustarsela sul lungomare è un piacere come pochi. Davanti la Sicilia, Messina, gli sbuffi dell’Etna, innevato in questo periodo. Per piaceri analoghi si va in capo al mondo, ma a Reggio vanno in pochi, il turismo è ancora un’ipotesi. Qualcuno poi, tra sociologi, filosofi, statistici, dovrebbe spiegare perché nelle amene città dove tutto funziona, dove trovi l’asilo dietro l’angolo, dove la sanità ti cura in tempo reale, c’è poi un malessere sociale strisciante, le relazioni sociali sono ridotte al lumicino, il numero di suicidi sempre in crescita, le nuove dipendenze come la ludopatia oramai inserite nel L.E.A. (livelli essenziali di assistenza).
Forse, il problema di Reggio, come di altre grandi città del sud come Napoli Bari Lecce Salerno Palermo è che sono città che ami ed odi allo stesso tempo, ultime nelle classifiche, ma miniere di bellezza, spreco di risorse, ascensore sociale mai partito, i giovani fuggono, ogni 10 anni svanisce un’illusione….
(rubrica a cura di Gaetano Tufariello – Immagine Giuseppe Trimarchi on X)